Cultura e Spettacoli

L’onestà, il piacere ambiguo

Cogliendo spunto da una giocosa lirica di Palazzeschi (Io sogno una casina di cristallo / proprio nel mezzo della città / nel folto dell’abitato…), Fabio Grossi ha un’intuizione brillante : assegnare all’onestà in cui tanto si compiace Angelo Baldovino le vesti di un’abitazione trasparente. Affidata al bravo Luigi Perego, l’idea evolve in un suggestivo ambiente girevole che – immerso nel verde quasi una foresteria o un casino da caccia – offre  l’idea, suggestiva, di una serra. All’interno di questo luogo asettico ma accogliente per effetto di un’assai suggestiva condizione di luce, null’altro che due poltrone stile impero (sostituite nel secondo tempo da un divano della medesima cifra stilistica a simboleggiare, forse, il passaggio di Baldovino dallo status di estraneo a quello di coniuge). Intorno a questo unico arredo le cui tinte spiccano calde nella diafana luminosità dell’ambiente si svolge il valzer dei protagonisti de ‘Il piacere dell’onestà’ che nell’allestimento di Teatro Eliseo è stato in cartellone al Royal tra venerdì e sabato scorso. A Grossi va pure ascritto il merito di aver ben diretto un cast di qualità al cui interno brilla Leo Gullotta e di aver sottolineato i pochi – involontari – spunti comici del testo. Che altro gli si poteva chiedere? Il resto doveva farlo la drammaturgia. Ma il solito intoccabile Pirandello qui pare trarre piacere a sfornare un personaggio (Baldovino) irritante come pochi per quell’ostentare tra le righe una superiorità morale solo presunta. Il modo acuto, garbato, implacabile e stringente con cui egli – quasi un PM a Norimberga – inchioda il prossimo alle proprie responsabilità, fa sì che alla fine dei conti persino un Fabio Conti, il vile padrone di casa, sia in diritto d’invocare qualche attenuante. A renderlo insopportabile, poi, è la tenacia con cui sostiene la pesantezza verbosa e arzigogolata del sacro testo. A costo d’incorrere nel reato di lesa Maestà, ribadiamo che da anni da queste colonne si va sostenendo l’urgenza di una sorta di ‘fermo biologico’ relativamente agli autori più abusati o a quelle opere che oggi mostrano la corda. Ciò andrebbe a vantaggio di autori immeritatamente classificati ‘minori’ e di autori giovani, portatori di un pensiero teatrale innovativo e al passo coi tempi e invece fatalmente costretti all’ombra. Ci sarebbe piaciuto vedere Grossi, Gullotta e compagni destinare a miglior causa le rilevanti energie di cui sono confermati capaci. E’ tempo di svecchiare, di non restare più preda dell’abitudine e del culto del mostro sacro. E’ tempo di costruire palinsesti stagionali che non siano più come volantini da grande distribuzione, infarciti di articoli di richiamo tipo La Locandiera, Sogno di una notte di mezza estate, L’uomo la bestia e la virtù…
italointeresse@alice.it


Pubblicato il 6 Dicembre 2011

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