Cultura e Spettacoli

Mimì e Rodolfo, la bellezza salverà il mondo?

Paola Martelli rivisita il libretto de ‘La Bohème’ scritto a quattro mani da Luigi Illica e Giuseppe Giacosa e ne cava, coniugando fedeltà e libertà di trattamento, un ‘dramma parlato’ fratto in quattro succinti quadri. Un’operazione agile in cui la musica di Puccini fa da soundtrack e il cast si riduce ai soli cinque personaggi principali. Cinque figure giovani e gradevoli, soprattutto baciate dalla sorte per il fatto d’avere il physique du rôle. Una cosa, questa, che  – al di là del talento canoro – è merce rara in teatro quando si parla di melodramma. Tant’è che non è raro, volendo restare a La Bohème, vedere sfiorato il grottesco mandando in scena una Mimì sui  cinquant’anni e un Rodolfo che supera il quintale. Questo prezioso elemento – la ventata di gioventù – coniugato col defilarsi di Puccini a favore di Illica e Giacosa, libera la storia dei due giovani amanti dell’aura epica che da un secolo avvolge ‘Bohème’ e la ricolloca in una dimensione più umana, anche spicciola se si vuole, come si conviene a giovani simpatici, squattrinati, illusi e anticonformisti, ma pure tanto inconcludenti. Ciò, senza sminuire alcunché, strappa alle stelle l’amore tra Rodolfo e Mimì e lo restituisce alla terra, regala al ‘giovane della strada’ la possibilità di identificarsi nei due eroi e di sognare, di percepire l’odore dell’Infinito. Toccante la misura in cui si consacrano alla causa Claudio Belviso (Rodolfo), Michele Cuonzo (Gustavo), Tiziana Gerbino (Mimì), Annabella Giordano (Musetta) e Mauro Milano (Marcello). Paola Martelli ritaglia per sé il ruolo di voce narrante e fa guida a questa liturgia dell’amore, ora introducendo, ora legando quadri. Lo fa in punta di piedi, sebbene a leggero discapito della continuità drammaturgica, spezzata da interventi troppo lunghi, ma che trovano giustificazione in un’ansia didascalica dietro cui si cela una passione tanto profonda quanto contagiosa. E tale passione si trasmette agli interpreti, apparsi al termine dello spettacolo visibilmente commossi. Ci risulta che sia così ad ogni replica e che l’emozione non escluda  nemmeno le prove… Ma come è possibile che in giorni di implacabile tecnologia e di cinismo plateale una storia tanto ‘demodé’ lasci ancora il segno? Forse l’umanità, pur agonizzante, non è ancora morta. Lo conferma il silenzio attento e rispettoso con cui il pubblico segue una storia, dopotutto, arcinota. Venendo ad altro, interessante fra secondo e terzo quadro la proiezione di un rarissimo filmato che ritrae Puccini nella sua villa di Torre del Lago alla vigilia della Grande Guerra. Infine, bene scene e costumi. Altrettanto buono il lavoro di Gino Spadaro in cabina di regia.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 3 Febbraio 2016

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