Cultura e Spettacoli

Niente ‘fossile’? Avanti col ‘vegetale’

Le sorprese che la Foresta Umbra riserva ai visitatori non attengono solo alla fauna e alla botanica. Il visitatore faccia anche caso alle tracce di carbone vegetale nascoste tra rocce e cespugli al centro delle radure. Sono le ultime testimonianze di un mestiere scomparso nel dopoguerra. Una volta anche da noi erano attivi i carbonai, la cui attività conobbe l’apice nella seconda metà dell’Ottocento con l’avvento della rivoluzione industriale. Troppo lontana dai grandi giacimenti del nord Europa per rifornirsi a buon mercato di carbone minerale, la nostra regione dovette fare ricorso al carbone vegetale (il che coincise col funesto processo di deforestazione da cui la Puglia uscì ‘glabra’). La trasformazione della legna in carbone vegetale (che oggi invece si produce industrialmente mediante un processo di distillazione secca) avveniva nelle località boscose, dove il carbonaio si spostava con tutta la famiglia dall’inizio della primavera sino ad autunno inoltrato. La prima operazione consisteva nel taglio della legna (in prevalenza faggio, ma anche abete, larice, frassino, castagno, cerro e pino). I carbonai tagliavano gli alberi generalmente nel periodo di luna calante nella parte di bosco loro assegnata rispettando le disposizioni di legge che prevedevano non più che un diradamento delle piante. Ricavato il legname necessario, esso veniva portato ad una lunghezza di circa un metro e, dopo il tempo necessario all’essiccazione, trasferito nella ‘piazza da carbone’, una radura che veniva giudicata ideale se già usata in passato (la terra ‘cotta’ garantiva una carbonizzazione migliore). A questo punto si cominciava ad accatastare la legna secondo un preciso disegno. Tale sistemazione richiedeva due giorni di lavoro. Una volta conclusa la posa, la carbonaia assumeva la tipica forma conica con un raggio di base di 2-3 metri e uno stretto camino centrale. Seguivano altri due giorni di lavoro per coprire la catasta con rami di abete, uno strato di foglie secche  e uno strato di terriccio senza sassi ; lo scopo era isolare la legna dall’aria. A questo punto, aperta una bocca nella carbonaia, si introducevano numerose braci. La carbonaia veniva in questo modo alimentata per quattro o cinque giorni, fino a quando una fiammata nella parte più alta annunciava l’inizio della carbonizzazione, che durava per un’altra decina di giorni. A cottura ultimata iniziava la fase della scarbonizzazione che richiedeva altri due giorni di lavoro. Per prima cosa si doveva raffreddare il carbone con numerose palate di terra. Si procedeva quindi all’estrazione spegnendo con l’acqua eventuali braci rimaste accese. La qualità del carbone ottenuto variava a seconda della bravura e dell’esperienza del carbonaio e del legname usato. Infine il carbone veniva insaccato e trasportato dai carrettieri verso la pianura per essere venduto. Di questo carbone si faceva uso sia domestico che industriale.

Italo Interesse

 

 

 

 


Pubblicato il 16 Gennaio 2020

Articoli Correlati

Pulsante per tornare all'inizio