Cultura e Spettacoli

Pietro benedisse e Zeus andò in frantumi

Succede spesso in Puglia che scavando per costruire case vengano alla luce tombe  ed altre vestigia dell’antichità. In questi casi la tendenza è depredare e seppellire gli avanzi sotto una colata di calcestruzzo prima che la Soprintendenza ai beni artistici intervenga a bloccare il cantiere. Quante volte è successo. Chissà su quanti sepolcri e ville patrizie sorge Bari, specie quella murattiana. Non lo sapremo mai, e forse è meglio così. Non tutto però è andato perduto. Fa perciò specie apprendere che qui e là, nel cuore dei centri abitati pugliesi, si sono salvate testimonianze del passato. E’ il caso di Taranto, dove in via Terni è possibile visitare una chiesa rupestre ipogea. La cripta della Madonna della Grotta era in origine una vasta tomba a camera romana di età imperiale (ha forma grosso modo circolare con un diametro di otto metri ed è collegata ad una fonte di acqua sorgiva). Intorno all’anno Mille i cristiani ne fecero un tempio ; vuole la tradizione infatti che in quella nella cripta sia stato celebrato il primo culto secondo la liturgia bizantina. Nel XII sec. le pareti della spelonca vennero decorate con affreschi di notevole bellezza tra cui ‘Cristo Pantocratore tra San Giovanni e la Vergine’ nell’abside, e sulle pareti laterali ‘San Basilio’, ‘Sant’Euplo’ e ‘San Biagio’. Abbandonata dopo il XIII sec., la cripta venne riscoperta nel 1899 dall’archeologo Luigi Viola durante l’esecuzione di alcuni lavori in una sua proprietà e aperta al pubblico l’anno dopo, benché a rischio statico. Si dovette attendere il 1979 perché per effetto di una petizione promossa dall’allora Arcivescovo della città ionica, Mons. Guglielmo Motolese, si intervenisse realizzando opere di consolidamento. Il sito è stato riaperto al pubblico a dicembre di otto anni fa. La profonda devozione popolare ha fatto di quel luogo il teatro della leggenda sulla prima evangelizzazione cristiana di Taranto. Ancora la tradizione narra che, San Pietro, sbarcato a Taranto, reduce dalla Terra Santa dopo la Crocifissione, si diresse verso la futura cripta per dissetarsi alla fonte cui era collegata. Nei pressi dell’ipogeo i pagani avevano eretto una grande statua di Zeus. Nel momento in cui l’Apostolo disegnò la croce in aria nel classico gesto benedicente (intendeva dedicare quel sito a Giovanni il Battista), la scultura andò in frantumi. L’avvenimento è rappresentato in un dipinto che orna una parete laterale del vestibolo della cattedrale di San Cataldo. Il dipinto, intitolato ‘Ingresso di San Cataldo a Taranto’, fu realizzato nel 1675 da Giovanni Caramia, un pittore pugliese (Martina Franca 1630 – 1698) che nel corso della sua lunga attività si distinse per la complessità simbolica e la forza espressiva di una pittura religiosa dal colore visionario.

Italo Interesse

 

 

 


Pubblicato il 18 Ottobre 2018

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