Cultura e Spettacoli

Tesoretti tra campagne in degrado

Molte cose indicano la gravità della crisi economica in atto. A segni vistosi (negozi vuoti, carrelli della spesa meno carichi, file crescenti alle mense della Caritas  e uso crescente della carta moneta) si affiancano altre e meno plateali espressioni di un decaduto potere d’acquisto ; la parola ‘miseria’, troppo facilmente tirata in ballo in questi ultimi due anni, almeno per ora teniamola da parte per chi davvero non riesce a mettere assieme un pasto al giorno. Anche tanta gente in giro a piedi o in bicicletta, che attinge acqua dalle poche fontane rimaste o che veste indumenti lisi dice meno forte ma non meno chiaro del nostro scivolare inarrestabile nello stesso baratro in cui è caduta la Grecia e nel quale a suo tempo precipitò l’Argentina. Altri segnali, poi, inducono a giungere alle stesse conclusioni. Parliamo di comportamenti più sottili, di cose che sfuggono facilmente o che altrettanto facilmente vengono scambiate per stravaganze o forme di passatempo. Più volte abbiamo denunciato lo stato di degrado in cui versano le campagne che avvolgono il capoluogo. Ebbene, pur traviati in discariche, questi campi custodiscono tesori dispersi tra culture arboree in abbandono e languenti testimonianze della civiltà contadina. Ad accorgersene non sono i rappresentanti della solita, infelice fauna umana che frequenta i luoghi in degrado   (vagabondi, tossici, psicolabili, ladruncoli…), bensì nuove figure. Parliamo di chi onestamente ‘rovista’ per arrangiare qualche decina di euro o qualcosa da mettere sotto i denti. Non è raro vedere nelle abbandonate coltivazioni ai margini della città anziani girare ‘armati’ di coltello e busta di plastica : vanno a caccia di cicoriette selvatiche, asparagi rucola e altre erbe aromatiche. Altri, questa volta armati di bastone e sacco, raccolgono mandorle (che, sgusciate e imbustate alla buona, vengono vendute tra parenti, amici e vicini ; prezzo : dai sei ai sette euro il chilo). Più redditizie si rivelano le olive ; un quintale portato al frantoio si traduce in una ventina di litri d’extra vergine. E poi ci sono i fichi d’india ; questi ultimi, sbucciati e venduti al mercato in piccoli stock da cinque pezzi, procurano un guadagno di venti centesimi a frutto. Con un po’ di fortuna si possono mettere le mani anche su mele cotogne, melegrane, nespole, uva, more, pere, fichi, arance, limoni… E’ incredibile la quantità di cibo che, malgrado mille oltraggi, ancora e spontaneamente la natura di casa nostra mette a disposizione. E piange il cuore all’idea di quanta campagna intorno a Bari viene ogni giorno sacrificata alla causa del mattone. Andiamo in capo al mondo a buscarci il pane quando ci basterebbe allungare un braccio. E’ nella dimenticata vocazione agricola della Puglia l’unica speranza di risalire la china. A condizione si capisce, di pianificare in modo ragionevole la produzione e sostenerla, piuttosto che mortificarla.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 15 Marzo 2013

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