Cultura e Spettacoli

A casa Tyrone, come a casa di tutti

Resterà in cartellone alla Vallisa sino al 25 aprile un allestimento Diaghilev diretto da Giuseppe Marini

‘Lungo viaggio verso la notte’ è la più autobiografica delle opere di Eugene O’ Neill (nell’immagine). In questo lacerato attingere dalle proprie radici è ravvisabile il meritato successo di un’opera che, scritta nel 1956, venne premiata già l’anno dopo col Premio Pulitzer. A distanza di quasi settant’anni dal suo debutto, ‘Lungo viaggio verso la notte’ si riconferma lavoro di assoluta attualità. Testo d’anticipazione a suo tempo, quando la famiglia disfunzionale era nei pudibondi USA ragione di pietosi ed ipocriti veli, oggi questo dramma in quattro atti ha assunto le forme dell’atto di denuncia verso una realtà ben più diffusa di quanto s’immagini, una fonte di storture ancora destinata a passare sotto silenzio, almeno fino a quando fattacci non mettano a nudo le cose. Numerose e di prestigio, perciò, la messinscena del capolavoro di O’ Neill. A queste dobbiamo aggiungerne una, prodotta da Diaghilev, che da venerdì scorso è in cartellone alla Vallisa; ultima replica, giovedì 25 aprile. Affidata alla regia di Giuseppe Marini, questa messinscena (asciugata in una sola frazione) si offre al pubblico nei termini del totale abbattimento della quarta parete. Secondo una modalità ormai di casa alla Vallisa, la scena ‘scorre’ in longitudine e s’incunea nella platea, che in qualche modo aggredisce gettandogli in faccia le miserie di casa Tyrone, dando ad ogni passo l’impressione di voler afferrare lo spettatore per metterlo con le spalle al muro e domandargli di vuotare il sacco, di confessare come stanno veramente le cose a casa sua. Un sottile imbarazzo pervade il pubblico e non tanto per questa visione ravvicinata ed invadente che, prossima all’invisibilità, supera l’impudenza del buco della serratura come dell’occhio del Grande Fratello, quanto per questo indice imbarazzante che poco a poco l’azione materializza e protende in direzione della platea. Efficace da questo punto di vista l’idea di collocare una sedia a dondolo là dove lo spazio scenico si spegne in platea. Efficace perché è sulla sedia a dondolo che tocca l’acme il coinvolgimento dello spettatore. Pensata per accogliere a turno i quattro protagonisti nei rari momenti in cui essi, deposte armi d’offesa, rinunciano anche al carapace’ che li difende, il dondolo, che un vecchio stereotipo vuole legato all’idea della serenità, è metafora di ben altra seduta, quel divanetto dello strizzacervelli su cui chiunque almeno una volta nella vita dovrebbe provare a distendersi. Marini si dedica al testo di O’ Neill con passione palese, cavandone momenti di intensa e conturbante emozione. Il resto lo fanno interpreti all’altezza della situazione : Carla Guido, Francesco Lamacchia, Paolo Panaro e Andrea Simonetti. Hanno collaborato : Michele Giannini (costumi), Paolo Coletta (musiche originali), Antonio Carella (assistenza alla regia), Gianni Colapinto (luci), Nicola Santamato (direzione tecnica).

 

Italo Interesse

 


Pubblicato il 10 Aprile 2024

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