Cultura e Spettacoli

A cosa è servito, serve, servirà scrivere poesie ?

“Scrivere una poesia dopo Auschwitz è barbaro e ciò avvelena anche la consapevolezza del perché è diventato impossibile scrivere oggi poesie”. Questo celebre Monito il Filosofo Theodor W. Adorno, di origini ebraiche, Scrisse nel 1949. “Tamen”, nel 1966 Egli Ammetteva di aver sbagliato, di aver commesso un errore e da Se Stesso Si Confutava: ”Il dolore  incessante ha altrettanto diritto di esprimersi quanto il torturato di urlare; perciò forse è sbagliato aver detto che dopo Auschwitz non si può più scrivere poesie”. Tra le due Affermazioni passano 17 anni e, nel mezzo di essi, Adorno Stabiliva Amichevoli Rapporti con il Poeta Paul Celan, ebreo rumeno di lingua tedesca, sopravvissuto al lager nel quale morirono i suoi genitori. Con quale Animo lacerato Celan, che nei suoi Versi Faceva Riferimento, con ossessiva Costanza, al Ricordo della Shoah, come possibilità di salvezza da un vissuto di orrori, Poteva Iterare l’intellettuale, spirituale, culturale Dimestichezza con Adorno che, prima della sua onesta autoconfutazione, aveva condannato la Poesia e Chi La Praticava, per le Motivazioni che con le sue Parole abbiamo, testé, Prodotte ? Per RisolverSi dalla contraddizione che Lo vedeva Amico di Adorno e, nel contempo, da Lui fustigato per Essere Egli, nonostante i lutti famigliari e le sofferenze patite, ancora, Poeta, Celan SI Preoccupava di Puntualizzare la Teleologia della Poesia che per Lui era: ”in virtù della sua essenza, e non della sua tematica una scuola di umanità vera; insegna a comprendere l’altro in quanto tale e cioè la sua diversità; invita alla fratellanza e contemporaneamente al profondo rispetto dell’altro, anche là dove questi si manifesta come deforme e col naso adunco”. NOI in questo nostro Scritto Cercheremo di Refutare le Affermazioni di Adorno del 1949, del 1966 e Quella di Celan che Si Pone nel mezzo delle due date, or, ora, trascritte. Pur correndo il rischio di inabissarCI nel minimalismo, da un lato, e, dall’altro, nella retorica dei grandi tragici avvenimenti storici, CI  Domandiamo: ”E’ possibile che Adorno non abbia Ponzato che auschwitz è stato solo uno dei tanti luoghi e uno dei tanti momenti della millenaria Storia dell’uomo in cui codesto “animal”, essere vivente tra gli esseri viventi, ha esercitato la sua, non di rado, gratuita ferocia nei riguardi dell’altro uomo, degli altri esseri viventi, la sua violenza contro l’ecosistema, dalla Natura, pazientemente, elaborato nei Tempi ? Parafrasando un Proverbio sardo, mentre “s’abba (l’acqua) tenet memoria” e, quindi, la Natura che ci fa pagare (sta già cominciando a farlo) con gli interessi le nostre umane sopraffazioni su di Essa, l’uomo non dà Significato alla Memoria, non Tiene a Mente i fatti, Mnemosine, Figlia di Urano (il Cielo) e di Gea (la Terra), non è la sua Dea; mancandogli la “Memorabilità”, gli manca la Responsabilità per se stesso e per la casa (il mondo) in cui vive. In un aspetto l’uomo è, affatto, figlio della Natura, in quanto deterministicamente, irrazionalmente, mette in atto il precetto scientifico per il quale “ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”. Sicché la Natura, dopo aver sopportato interminate angherie da parte dell’uomo, da vittima, diventa, leopardianamente, “matrigna”, così l’uomo, molto spesso, da vittima dell’altro uomo, appena ha potuto, s’è trasformato in carnefice dell’altro uomo. Forse, non è vero che gli ebrei dello stato d’israele stanno usando, da non breve pezza, metodi nazisti nei confronti dei palestinesi, confortati a tanto, sollecitati, dalle lobby ebraiche degli “states” che, essendo esse gli “states”, hanno interesse ad avere in medio oriente uno stato cuscinetto per controllare i paesi produttori del petrolio, le vie del petrolio, l’importante via d’acqua del “canale di suez” ? Si dice che se ”gli animalia”, a torto, ritenuti pericolosi per l’uomo, non vengono attaccati, disturbati, rimangono, anche, in presenza dell’uomo, calmi, pacifici nel loro territorio o, se attaccano, lo fanno per fame. L’uomo, invece, uccide il fratello, il suo simile, il prossimo per brama di potenza e di ricchezza, non senza paludare le sue “miserabilia” con immani carnevalate ideologiche e religiose. Ahi, l‘“hoc signo vinces” di costantino”! Allora, solo dopo auschwitz  niente Scrittura Poetica e prima ? Perché non dopo la “guerra del peloponneso” (431 – 404 a.c.); perché non di codesto conflitto il truce episodio, detto delle “latomie” (Raccontato da Tucidide nel VII Libro delle sue “Storie”), cave di pietra profonde e anguste, in cui i siracusani, alleati di sparta, rinchiusero  quel che restava dell’esercito ateniese sconfitto, murando vivi in esse i prigionieri, lasciandoli morire stremati dalla fame, dalla sete, dalla calura ? Perché non dopo l’11 settembre per l’attentato terroristico alle “torri gemelle” negli “states”? Perché non dopo che, finalmente, s’è Presa Coscienza che il “mare nostrum” è diventato per un popolo di disperati nordafricani, mediorientali, asiatici, in fuga su battelli sgangherati da guerre, da regimi liberticidi, dalla fame, dalla miseria, stroncati dall’onda cieca, l’Urna Ungarettiana Celebrata nella Poesia “I fiumi” (“Questa mattina mi sono disteso /sull’acqua, quasi fosse un’urna /e ho riposato come una reliquia”) ? Perché non dopo lo stupro in un villaggio indiano di due adolescenti cuginette da parte di un branco di maschi adulti, magari incensurati, e, poi, impiccate ? Perché non dopo la strage dei nonni e della zia da parte di un giovane cocainomane, appena qualche settimana fa, nel vercellese ? “L’arte, Diceva J. K. Huysmans, è la forma dei secoli”, deserti, sempre, pregni di escrementi umani, sui quali l’“Animal” Artista, Poeta, dopo un “sudato” Processo di “(Dis)umanizzazione”, Gettato lo Sguardo inorridito, non può non Immaginare ciò che l’uomo non è mai stato, non è, giammai, sarà; un Mondo di Giusti, di Buoni in Spirito, nella Volontà, possibile, ormai, senza fallo, se non nell’Utopia. Per parafrasare Antonio Gramsci, il pessimismo dalla Storia, l’Ottimismo dall’Immaginazione! La Poesia, Dissonante dal Pensiero di Adorno, non può accogliere ”sic et simpliciter”  “il dolore incessante” o l’urlo del torturato in quanto la capacità dell’uomo di fare “il male”, di “somministrare dolore” agli altri “animalia” e ai suoi simili “può trovarsi, al di là delle parole, nello spazio dell’indicibile”  demoniaco, infernale. Così l’Artista, il Poeta, per Esprimere, per Rappresentare il male, il dolore, l’urlo, li Dissolve nella Compostezza, nella Classicità, nell’Eleganza, nella Cantabilità, nella Misura, nel Ritmo, nella Musica, nella Razionalità della Forma (che è l’Idea della Bellezza Resa, concretamente, Visibile), ché il Fruitore di un’Opra d’Arte o di una Poesia, ove abbia Interesse,  Sensibilità, Possa Percepire con Mente pura, senza esserne traumatizzato, l’essenza del dolore, della sofferenza, del male; Possa Asseverare che il mondo in cui vive non è il migliore dei mondi possibili; che non può assuefarSi ad essi e meno che mai possa nobilitarli, come fa il pensiero religioso in modo consolatorio, pur se essi, fenomeni, meramente, umani, non sono capitati, per caso, ad un certo punto della Storia dell’uomo, come parrebbe ad Adorno, ma s’affondano nel mistero della predisposizione dell’uomo, creatura caduca, frale, di, relativamente, breve passaggio nella vita, indifeso nei confronti di, ognora, probabili fenomeni naturali apocalittici, che potrebbero annientarlo in un istante,  ad essere contro l’altro uomo, cruentamente. Il “Laocoonte” di Agesandro (il mitico troiano, la cui morte con i suoi figli viene Narrata nell’ ”Eneide”, attaccato dai serpenti ché si era opposto all’introduzione del “cavallo” in troia che segnò la fine, voluta dal “destino”, della medesima città); la “Pietà” di Michelangelo, il “Commiato” tra Ettore e Andromaca nell’ ”Iliade” sono Esempi, tra innumerabili Esempi, di Epifania del Sublime che, per Winckelmann, è come il mare, calmo alla superficie, stabilendo con Chi lo Contempla una sorta di solidale, sereno commercio, salvo, poi, a mostrare e dimostrare che quanto è “sub (sotto) limes” (al limite. sotto la soglia) dell’Idea del Bello non può non ascendere da fondali, da abissi burrascosi per vorticose correnti, come le Opere d’Arte, di Poesia, sopra citate, Trasfigurate per essere, quasi, Identificabili con l’Idea, pur se ci Rimandano alla Cognizione dell’alea delle mostruosità  con cui l’uomo deve fare i conti e confrontarsi. Per Finire con Celan: il Poeta, l’Artista Usano il “Memento”, la Lingua, il Marmo, i Colori non per Istituire, Organizzare una scuola; non Si Propongono di Insegnare, tanto meno di Invitare a Fare qualcosa; Essi Rappresentano il Reale, il Vissuto che, metaforicamente, con le mani a conca, come si fa con l’acqua, magari, per berla, hanno, per quanto è stato, è loro possibile, Raccolto e Trattenuto, nonostante Sappiano, AhiNOI, che rari tra i loro simili Capitalizzeranno i Risultati dell’ appassionato Impegno Loro. Ma nel machiavelliano Loro “scrittoio” e nella michelangiolesca “bottega si spogliano della Loro meschina (sono Uomini, cazzo! Sono, anche, capaci, machiavellianamente, d’IngaglioffirSi,) quotidianità, e, spiritualmente, culturalmente, politicamente, Attrezzati, condecentemente, Entrano nei Cuori, nelle Menti, nella Storia dei Grandi Uomini, Antichi e Contemporanei, dove, da Loro Ricevuti, amorevolmente, Si Pascono di quel Cibo che “solum” è Loro e del quale furono Destinati a NutrirSi. Non Si vergognano di Parlare con i Grandi, a Loro Domandano le Ragioni delle Loro Azioni e Quelli per Umanità Rispondono. Intendono ciò che hanno, umilmente, Ascoltato e Notano e Sviluppano, originalmente, ché non fa Scienza il creare, sebbene l’Arricchire il Fiume annoso dell’umano Fare e Conoscere attraverso gli Affluenti, sortiti da ogni dove, pur da tenue linfa d’acqua. E non Sentono, per ore e ore, la solitudine, la noia, sdimentichi di ogni affanno, non temono la povertà,  né la morte. Nel nostro piccolo è quello che Facciamo NOI, Imitando Machiavelli, del quale, non molto sopra,  abbiamo Parafrasato “La Lettera al Vettori”. Il fatto che la plebaglia, la massa amorfa, non si Muova con NOI, né  si Commuova alle nostre “Nugae” (Piccole Cose) CI Rattrista, ma la Poeticità di una Composizione o di una Raffigurazione non può essere Prevista, né Progettata, né Misurata in base alla quantità di Occhi che Riescono su di Esse a PosarSi. Esse,  autonomamente, Esistono ché sono, in qualche modo, le Protesi che Dureranno oltre la Vita di Colui o di Coloro che Le hanno Gettate nel Tempo e nello Spazio per Testimoniare agli idioti la Pluridimensionalità, la Polifonia, che è, anche, Plurilinguismo, del “Caos”, del “Non Essere” in confronto alla schizoide inopia etica di coloro che sono infognati nell’ ”essere”.

Pietro Aretino, già detto Avena Gaetano

pietroaretino38@alice.it           


Pubblicato il 4 Giugno 2014

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