Cultura e Spettacoli

Dalla parte dei morti

Cosa non si deve fare per lasciare il segno su platee non più che ‘consumatrici’. Stefano Ricci e Gianni Forte lo sanno bene e da anni, con coerenza, propongono un (non) teatro deliberatamente esagerato e fantasmagorico o, per dirla come piace a loro : bellicoso, ironico e crudele, volto a risvegliare l’imbolsito uomo globale. Teatro Kismet sold-out nell’ultimo fine settimana per l’ennesima, inafferrabile e stremante (non solo per gli interpreti) performance targata Ricci/Forte. ‘Imitation of death’ è una “gigantesca polveriera” che deflagrando dal primo momento si nebulizza in un “affresco collettivo” di denuncia della “fatica dell’essere”. Ricci e Forte si muovono grosso modo intorno al tema della morte. Ma qui non si scruta nell’oltretomba, bensì nella condizione esistenziale dell’uomo contemporaneo il quale, omologato oggi ben più di ieri, muore già in vita senza accorgersene. Talvolta nasce già morto, qualche altra volta non nasce nemmeno. Il che non gli impedisce in entrambi i casi di riprodursi, guerreggiare, credere allo specchio, consumare cose e idee… In altre parole : illudersi di esistere. Questo racconto dell’incapacità di vivere, affidato a sedici performer che in scena si premono come limoni, assume cadenze anche demenziali. Per cui non gli sono estranei mascheramenti e convulsioni, lavagne riempite di numeri, passi di ‘liscio’, tiro al bersaglio, scene di nudo irritanti, confessioni flash/trash dal candore disarmante. C’è più rabbia che speranza in questo estremo e ben diretto formicolare corporeo che ora s’avvoltola, ora si dipana e quasi un torrente in piena esonda,mentre un diluvio sonoro martella la sommersa platea. Sedici generosissimi invasati fanno esercizio di ironia feroce e lacerante quanto un urlo di saluto estremo (e ci risiamo con la morte), lanciato all’interno di un habitat che fa presto a voltarsi in terreno di guerriglia urbana. Distruggere per ricostruire, questo il senso della vita? Striscia in ‘Imitation of death’ la denuncia dell’insensatezza di un gioco (l’esistenza) imposto e sregolato. Disastro celeste cui l’uomo dà una mano con la più dissennata condotta. Chissà se saremo più ragionevoli nell’Altrove. A questo punto viene in mento Totò e ‘A livella’. Nella celebre lirica di De Curtis l’anima di un povero netturbino deve sopportare la lagnanze del suo vicino di sepolcro, un nobilastro dal titolo ampolloso, irritato dal dover ‘riposare’ accanto a uno qualunque. Alla fine, con saggezza popolana, l’uomo del popolo riconduce alla ragione l’altolocato ‘collega’ : “… perciò stamme a ssentì / nun fa’ ‘o restivo / supportme vicino che t’mporta? / Sti pagliacciate ‘e ffanno so e vive / nuje simmo serie… appartenimmo a morte!”

 

Italo Interesse

 


Pubblicato il 27 Febbraio 2014

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