Cultura e Spettacoli

Filomene e Nicone beffarono Roma

Tra il 272 e il 209 a.C. Taranto passò quattro volte per mani diverse senza che mai si dovesse ricorrere a ‘leali’ assedi. Ciò avvenne per effetto dell’azione di doppiogiochisti e traditori. Nel 272 la città ionica era in mano a una guarnigione epirota comandata da Milone, malgrado Pirro, sconfitto a Malevento, si fosse ritirato in Grecia, dove morì poco dopo. Insofferenti del piccolo presidio e anelanti all’indipendenza, i tarantini chiesero aiuto a Cartagine. Ma prima che una flotta cartaginese arrivasse in soccorso, Milone con grande tempismo e senso degli affari (niente si fa per niente) consegnò la città ai romani, i quali non chiedevano di meglio che regolare i conti con la riottosa città ionica. Presto il gioco romano si rivelò insostenibile e di nuovo i tarantini volsero lo sguardo a Cartagine. Il loro sogno si avverò nel 209. Poiché i romani avevano messo a morte due prigionieri tarantini rei d’aver tentato la fuga, il popolo di Taranto, indignato, ruppe gli indugi e decise di consegnarsi ad Annibale, il cui campo in quei giorni era particolarmente vicino alla città. Due tarantini, allora, Filomene e Nicone, fingendo di andare a caccia, uscirono da Taranto e raggiunsero l’accampamento del condottiero cartaginese. Pervenuti a un  accordo, fecero ritorno portandosi dietro alcuni capi di bestiame donati da Annibale, ma che in città vennero fatti passare per frutto di una razzia a danno dell’accampamento ‘nemico’ di cui essi soli conoscevano il lato indifeso. Visto il buon esito dell’impresa, dissero a tutti di voler ritentare l’impresa, questa volta di notte, però ; il presidio romano, forse convinto col dono di un cavallo o di un bue, non si oppose. Filomene e Nicone, così, presero ogni volta che scendeva il buio a uscire dalla città, dove all’alba tornavano recando altro bestiame. Ingolosito dal ricavo senza fatica di una bestia a notte,  il comandante del corpo di guardia romano posto a difesa della porta abbandonò ogni remora. Adesso perché Filomene e Nicone rientrassero non avevano bisogno di bussare o gridare la parola d’ordine, dovevano solo emettere un fischio concordato. Fischiavano e spingevano avanti pecore, capre, maiali. Ma una notte al fischio ‘amico’ le porte si aprirono all’esercito cartaginese. A queste condizioni non fu difficile per gli uomini di Annibale avere ragione delle forze di Roma. Il successo non fu completo, tuttavia. Il grosso delle forze romane si ritirò nella munitissima rocca e lì rimase in attesa di rinforzi. L’attesa durò poco. Nello stesso anno, grazie al tradimento di un ufficiale cartaginese – l’argeant fait la guerre –  il console Quinto Fabio Massimo (il ‘temporeggiatore’) riconsegnò Taranto a Roma. 

Italo Interesse


Pubblicato il 8 Maggio 2013

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