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“I negozianti cinesi non rispettano le regole, bisogna vigilare”

Insegne dai caratteri indecifrabili su vetrine dove sono allestiti abiti a prezzi  stracciati, voci che emettono suoni di una lingua incomprensibile, dietro al bancone occhi a mandorla che ci scrutano. Non siamo in una qualche metropoli del lontano oriente ma a Bari, in uno dei tanti negozi d’abbigliamento che da qualche anno spuntano come funghi per le vie della città.  Sono loro: i cinesi, i padroni di quei negozi. Coloro da cui ormai tantissimi acquirenti baresi, attratti dai prezzi ‘low cost’, accaparrano vestiti, scarpe, utensili e tutto ciò di cui si ha bisogno nella vita quotidiana. Ma da dove vengono esattamente, e come avranno fatto in così poco tempo ad aprire così tante attività commerciali quando i commercianti baresi a causa della crisi economica, stentano a mantenere attive le proprie?  Dietro ai loro fiorenti affari ci sarà forse la mano oscura della famigerata mafia gialla? E allora cominciamo col dire che la maggioranza dei cittadini cinesi a Bari provengono da una regione meridionale  della Cina chiamata ZheJiang, la culla della migrazione cinese in Italia. I Zhejiangesi in patria godono della fama di essere instancabili lavoratori ed abili imprenditori di aziende famigliari. A Bari infatti la maggioranza, se non tutti, i negozi aperti da cinesi hanno un proprietario originario dello ZheJiang che ha lavorato per molti anni in una qualche industria del nord-Italia accumulando quei capitali che, uniti a quelli prestati da parenti e amici, gli hanno permesso di intraprendere un’ attività imprenditoriale nelle nostre terre meridionali considerate ancora “inesplorate” dal mercato dei cinesi all’estero. Niente economia sommersa o mafia gialla, ma duro lavoro, dietro queste piccole imprese i cui proprietari non possiedono l’immobile del negozio in cui lavorano, come molti credono, ma sono semplicemente in affitto. Affitti comunque molto salati, soprattutto nel centro. Come fanno allora a pagare e a guadagnare così tanto da invogliare parenti ed amici ad aprire altri negozi nelle vicinanze?  Il motivo risiede principalmente nel cambio vantaggioso con cui vengono comprati e poi venduti i prodotti (1 Euro equivale a circa 10 Yuan cinesi), e nella quantità e varietà di prodotti che una Cina in pieno boom economico può procurare. Un capo di vestiario venduto a Bari a 10-15 Euro potrebbe benissimo essere stato comprato dalla Cina ad un prezzo all’ingrosso anche dieci volte inferiore.  Come se ciò non fosse ancora abbastanza si aggiunga il fatto che questi piccoli imprenditori cinesi, nonostante vivano in Italia continuano ad usare stili di vita molto spartani, tipici dei loro connazionali in patria: vivono nelle fabbriche dove lavorano, con costi di vitto e alloggio molto ridotti, a spese del propietario della fabbrica, che li portano a ridurre al minimo le spese di vita per poter accumulare quanti più soldi possibili ad aprire un impresa in proprio, in patria o ancor meglio in Italia. Una volta fatto ciò, i nostri cinesi, continuano a mantenere uno stile di vita molto austero per poter inviare soldi ai parenti rimasti in Cina, pagare eventuali debiti e continuare l’attività imprenditoriale che garantisce quel futuro migliore costato enormi sacrifici. E ancora: dei 329 cittadini cinesi regolarmente registrati fino a un paio d’anni fa alla Questura di Bari, soltanto 15 avrebbero più di 50 anni.  Se si aggiunge il fatto che molti di loro raggiunta una certa età decidano di ritirarsi in patria per godersi i soldi guadagnati all’estero, si può ben capire che ciò che si dice su mafia gialla e vendita delle identità dei cinesi sia molto spesso frutto di fantasia e ignoranza. Ma nonostante tutto questo ‘Fratelli d’Italia’ a Bari ha chiesto che il Prefetto tratti, durante la prossima riunione del Comitato per la Sicurezza, il tema delle numerose attività cinesi che piegano l’economia e l’imprenditoria barese. <>, spiegano Marcello Gemmato e Filippo Melchiorre (coordinatori regionale e provinciale di FdI in Puglia) insieme al consigliere circoscrizionale Simone Cellamare. L’appello al Prefetto muove dalla verifica -attestata da un video-documento dagli stessi prodotto, oltre che dai dati della Camera di Commercio- di come all’interno di queste attività, sempre più presenti nelle vie storiche del commercio barese, non vengano rispettate le regole imposte, invece, con vessazione ai commercianti italiani e baresi nello specifico. <>.

 

Francesco De Martino


Pubblicato il 8 Novembre 2013

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