Cultura e Spettacoli

Il 23 ottobre 1915 cadeva nella “trincea della frasche” il patriota Filippo Corridoni

Inquadrato nel 32° Reggimento Fanteria della Brigata Siena, nativo di Pasula in provincia di Macerata da una famiglia di operai in una fornace, classe 1887, Filippo Corridoni già noto interventista e sindacalista rivoluzionario, nelle idee e certamente nella forma con le quali esse divennero azione, il 23 ottobre del 1915 cadde sul Monte San Michele, dove gli austro-ungarici approntarono temibili difese scavando le loro trincee nella roccia e posizionando innumerevoli mitragliatrici, cannoni e metri di filo spinato. Nonostante fosse malato da anni di tisi, partì come volontario di guerra e per ordine del Col. Chiaramello, Filippo Corridoni e Dino Roberto furono messi ciascuno a capo di un plotone d’assalto. Alle 10.30 del 23 ottobre 1915, il 31° attaccò la Trincea dei Razzi mentre l’artiglieria martellava le Frasche fino alle ore 15. Alle 15.01 quando i cannoni tacquero, i fanti del 32° partirono all’assalto delle Frasche. Alle 15.30 i plotoni di Corridoni e Roberto riuscirono a raggiungere la linea nemica, preparandosi a respingere i contrattacchi, ma la mancata conquista della quota164 a sinistra e della trincea dei Razzi a destra rese precaria la loro posizione, sottoponendoli ad un micidiale tiro incrociato. Arrivarono i rinforzi e Corridoni esponendosi per chiamarli venne colpito da un colpo di fucile in fronte. Così che in una delle sue ultime lettere apparve profetica l’immagine del suo “andare oltre”. Scrisse infatti: <>. Ma, ironia del destino, nei mesi antecedenti l’entrata in guerra dell’Italia, Corridoni stava scontando una pena nel carcere di San Vittore per aver partecipato all’ennesima manifestazione antimilitarista e durante la sua detenzione, a seguito di una più profonda riflessione sostenuta soprattutto dai suoi più fedeli compagni di lotta sindacale maturò, contro alcuni stereotipi politici dell’epoca, l’idea che: <>. Scarcerato nel settembre del 1914 riprese la sua attività di giornalista su Avanguardia dove pubblicò un articolo in cui manifestava la sua adesione all’interventismo stesso, e ai primi di ottobre insieme ad altri scontenti esponenti del Partito Socialista fondò i “Fasci d’azione internazionalista” divenuti successivamente “Fasci d’azione rivoluzionaria”, gruppo che rinserrò ed organizzò i ranghi dell’interventismo di sinistra ed evoluzione del precedente movimento. Nell’aprile 1915, Corridoni scrisse “Sindacalismo e Rivoluzione” (edito però nel 1921), considerato il suo testamento spirituale e politico che sintetizzava quella che poi sarebbe divenuta l’Italia “proletaria e fascista” di cui l’amico Benito Mussolini si fece successivamente interprete nell’azione politica, se pur non immune dai troppi compromessi a cui il potere è da sempre obbligato. E per commemorare i cento anni dalla sua mors triumphalis, il Movimento politico CasaPound ha affisso in viale Europa a Bari uno striscione che riporta proprio una frase del patriota: “Tutto bisogna sacrificare, tutto bisogna osare”. Infatti <>. Azione, giustizia sociale, sindacalismo e rivoluzione, Sorel e Marx: la figura di Corridoni oggi caduta in un colpevole oblio, mostra invece il coraggio dell’alternativa e dell’originalità, più attuale che mai, nella lotta anticapitalista.

Maria Giovanna Depalma


Pubblicato il 24 Ottobre 2015

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