Cultura e Spettacoli

Il guerriero ha perso

 

E’ partita col piede giusto ‘Registi fuori dagli sche(r)mi’, la rassegna cinematografica in corso al Cineporto e a cura di Luigi Abiusi. Una rassegna incentrata su undici registi del panorama cinematografico contemporaneo le cui opere, celebrate o ingiustamente snobbate nei Festival, sono rimaste escluse dalla distribuzione italiana. Due le pellicole in programma, martedì scorso, ‘Nobi’ e ‘Zan’, entrambe dirette e interpretate da Shin’Ya Tsukamoto, uno dei registi più apprezzati dell’ultimo cinema giapponese. ‘Nobi’ racconta il tunnel dell’orrore in cui precipita Tamura (lo stesso bravo Tsukamoto), un soldato nipponico trovatosi allo sbando insieme ad altri commilitoni nella giungla filippina durante l’ultima guerra. Un racconto crudo, che getta in viso allo spettatore sangue, sudore e lacrime, senza nascondere stracci, lerciume e degrado, senza adagiare veli sul delirio antropofago. Un film splatter, allora? Verrebbe da rispondere di sì, considerate pure le scelte fotografiche che saturano al massimo i colori, per cui  lividure, squarci nella carne, mutilazioni, spruzzi di sangue, incrostazioni di fango e altri segni di sporcizia, come del resto la stessa esuberanza dell’intrico vegetale, risaltano con violenza. Eppure questa asprezza non è fine a se stessa. E’ invece funzionale, e per contrasto, all’espressione (strisciante) di un filo di speranza. Un filo tanto sottile quanto robusto : Tamura non vuole morire, soprattutto intende scansare il degrado dello spirito e della mente, che gli preme mantenere integra allo scopo di lasciare testimonianza a guerra finita di quella carneficina gratuita ; cosa nella quale riuscirà. Un film perciò apprezzabile, anche per l’intelligenza con cui Tsukamoto mostra d’ispirarsi al miglior cinema dei maestri nipponici : nello specifico il Kon Ichikawa de ‘L’arpa birmana’ e l’Akira Kurosawa di ‘Kagemusha’. Nella seconda parte della serata è stato il turno di ‘Zan’. Qui Tsukamoto, il quale si riconferma bravo anche dall’altra parte della cinepresa, è nei panni di Sawamura, un samurai errante in cerca di altri guerrieri di ventura per comporre una compagnia da mettere al servizio di uno Shogun. Per Sawamura uccidere fa semplicemente parte del ‘gioco’ della vita. Ma apprenderà proprio dal suo pupillo, un rampante guerriero, che l’uso della violenza è controproducente. Come in ‘Nobi’, le scene cruente non mancano. Anche qui però l’efferatezza si fa cavallo di troia per puntare un indice accusatorio e sfatare miti : quello del samurai, del duello e della legge del più forte. Pure in ‘Zan’ la natura – questa volta ritratta nelle forme di campagne coltivate – fa da cornice alla storia. E ancora l’imperturbabilità solenne e muta della Grande Madre Natura suona come la risposta più nobile alla dissennatezza dell’uomo.

 

Italo Interesse.

 

 

 


Pubblicato il 30 Maggio 2019

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