Cultura e Spettacoli

Il Re e Badoglio, la restaurazione a Bari

La mattina del 28 luglio 1943 si diffondeva a Bari la notizia che a seguito della caduta del fascismo sarebbero stati liberati i detenuti politici. Un gruppo di giovani si raccolse per andare ad accoglierli. Strada facendo altri si accodarono. Si formò così un corteo di circa duecento persone. Nel passare in via Niccolò dell’Arca, doveva era la sede della Federazione Fascista, in quel momento presidiata da un reparto del Regio Esercito, quella piccola folla si fermò a pretendere la rimozione dei simboli del regime (è però strano che a tre giorni dall’arresto di Mussolini esse fossero ancora al loro posto). Chissà come andarono le cose. L’unica cosa certa è che fu strage. I soldati di guardia spararono e uccisero venti manifestanti, ferendone trentotto, almeno ufficialmente (i feriti meno gravi, temendo di essere identificati o arrestati, evitarono di rivolgersi al Pronto Soccorso, allora alloggiato nel vicinissimo Ateneo). Quello di via Niccolò dell’Arca non fu un ‘incidente’. Nella tensione di certi momenti può scappare anche un colpo di moschetto, non invece il centinaio di colpi necessari a colpire (come minimo) 58 persone. Dunque, fu ordinato il ‘fuoco a volontà’. Si fosse solo trattato di disperdere un’adunanza anche sediziosa sarebbe bastato sparare in aria, e poco. Invece si sparò ad altezza d’uomo, e molto. Ciò segnala un preciso, criminoso disegno, frutto di un clima politico intimidatorio, soprattutto nei confronti delle forze di sinistra. Lo confermano i fatti successivi all’eccidio : Nella notte fra il 28 e il 29 luglio la Questura di Bari eseguì il fermo di molti che avevano partecipato a quella manifestazione. Destò impressione soprattutto l’arresto di Luigi de Secly, redattore capo della Gazzetta del Mezzogiorno per un suo articolo di fondo, ‘Viva la libertà’. E quel quotidiano venne accusato di aver scatenato la manifestazione, mentre sulla casa editrice Laterza pioveva il sospetto di essere “da troppo tempo ricettacolo di fermati intellettuali antifascisti”. Inoltre, chi ordinò di fare fuoco? Una sentenza del Tribunale Militare di Taranto del 7 gennaio 1944 assolse per insufficienza di prove un sergente accusato di essere intervenuto nel corso della manifestazione e di aver cominciato a sparare. E non è ancora più strano che di tanta tragedia non sia rimasta alcuna traccia fotografica?… Ha ragione allora Antonio Leuzzi quando nella strage di via Niccolo dell’Arca vuole vedere “il segno palese della politica di violenta restaurazione imposta dalle forze monarchico-badogliane”? Si può dire che Bari conservi memoria adeguata di quello spargimento di sangue? A giudicare dalla cattiva qualità del monumento che ‘orna’ il giardino di Piazza Umberto si direbbe di no.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 28 Luglio 2016

Articoli Correlati

Pulsante per tornare all'inizio