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Il rebus del suo successore alla Regione: Emiliano è come Penelope

Il governatore pugliese, Michele Emiliano, – secondo qualche addetto ai lavori della politica regionale – è come Penelope. Ovvero, di giorno Emiliano tesse la tela dei rapporti politici per tentare di portare il sindaco di Bari e presidente dell’Anci, Antonio Decaro, a suo successore alla guida della Regione, mentre di notte la disfa. Infatti, la presentazione e la contestuale approvazione con voto segreto, durante la seduta di Bilancio, di un emendamento che consentirà la prosecuzione della legislatura regionale di circa 10 mesi nel caso in cui il governatore Emiliano dovesse candidarsi ed essere eletto al Parlamento europeo, nella primavera del 2024, sarebbe la dimostrazione del fatto che il presidente Emiliano da un lato sostiene pubblicamente il nome di Decaro come suo successore, rischiando finanche un “incidente” politico nella maggioranza giallo-rossa con il M5S ed il suo leader Giuseppe Conte, che invece ritengono prematura la scelta del nome del candidato governatore di un’eventuale alleanza con il Pd, mentre dall’altro tenta, con l’aiuto determinante dei suoi fedelissimi in Consiglio regionale, di rendere il più possibile problematica la candidatura a governatore dello stesso Decaro. Oltre che complicata la possibilità di vittoria. Ma veniamo ai fatti e vediamo il perché di tale ipotesi. Mercoledìscorso, durante la discussione del Bilancio di previsione, ben 37 consiglieri bipartisan su 49 presenti (unico assente il presidente Emiliano) hanno approvato a scrutinio segreto un emendamento presentato dalla Lega il quale sancisce che, qualora Emiliano dovesse dimettersi in anticipo rispetto alla scadenza naturale della legislatura, fissata – come è noto – al 2025, l’Assemblea pugliese di via Gentile resterebbe comunque in carica per un massimo di altri sei mesi dalla data di presa d’atto delle dimissioni del Presidente da parte del Consiglio, che potrebbe a sua volta avvenire entro un mese dalle dimissioni. Quindi, considerando i tempi tecnici che il Presidente della Regione, se eletto al Parlamento europeo, avrebbe per dimettersi, a causa dell’incompatibilità di dette cariche, la legislatura potrebbe prolungarsi di circa dieci mesi e, quindi, giungere per l’elezione del nuovo governatore ed il rinnovo del Consiglio alla primavera del 2025. Ossia, quasi alla fine naturale dell’attuale legislatura regionale. In tale ipotesi sarebbe il vicepresidente a guidare la Giunta e, quindi, la Regione. Per la cronaca riferiamo che l’emendamento leghista ha incassato 37 voti a favore, 9 contrari e due astenuti. La modifica introdotta con detto emendamento stabilisce che dopo le dimissioni del Presidente “si procede all’indizione delle nuove elezioni entro sei mesi” anziché i precedenti tre e che tale termine dovrà decorre “dalla presa d’atto da parte del Consiglio regionale” che – come innanzi detto – deve avvenire “entro 30 giorni”.  Superfluo dire che detta approvazione ha creato imbarazzo nel Pd e forti polemiche all’interno di tale partito. Infatti, il segretario uscente dei Dem pugliesi, Marco Lacarra, ha parlato di “fatto grave”, aggiungendo che “se nel Partito democratico qualcuno pensa che si possa essere credibili dopo atti del genere, sono ben contento che a breve non ricoprirò più la carica di segretario”. E ciò perché l’ok dell’Aula a maggioranza giallo-rossa ha due riflessi. Uno puramente economico, in quanto i consiglieri regionali, in tal modo, potrebbero percepire altri dieci mesi di stipendio e indennità, anche senza più la guida di un governatore eletto direttamente dal corpo elettorale; l’altro puramente politico, che è quello forse più interessa a Lacarra, ma soprattutto a Decaro. Infatti, l’allungamento della fine anticipata della legislatura consentirebbe la sopravvivenza del Consiglio nel caso in cui il governatore Emiliano si candidasse, come si vocifera nei corridoi della Regione, e fosse eletto eurodeputato nel 2024. Ossia un anno prima della scadenza naturale della legislatura. Ma nel 2024 scade – come è noto – anche il mandato di Decaro da sindaco di Bari e proprio Decaro aspira ad essere successore “naturale” di Emiliano. Quindi, il sospetto di qualcuno è che la norma sia stata approvata anche per “stoppare” la corsa del presidente Anci, con un voto bipartisan tra l’interessato centrodestra e i consiglieri regionali, anche dello stesso Pd, che invece non vorrebbero probabilmente un passaggio ereditario di consegne alla guida della Regione tra Emiliano e Decaro o che, al più, preferirebbero un eventuale terzo mandato dell’odierno governatore piuttosto che la successione nobiliare barese. Non sarebbe da escludere neppure un ripensamento dello stesso Emiliano a non candidarsi e, quindi, a tentare una possibile riconferma. Infatti, commentando a caldo tale vicenda il governatore ha ironicamente chiesto: “Chi ha detto che devo dimettermi in anticipo” rispetto alla scadenza del mandato?  Contro l’emendamento definito “salva poltrone”, non a caso, si sono schierati apertamente in Aula un “decariano doc”, come il consigliere Pd Francesco Paolicelli del Pd, e il neo nato gruppo di “Azione”, che non fa mistero alcuno della simpatia ad un’eventuale candidatura del già “renziano” Decaro a governatore della Puglia. Infatti, il commissario regionale di Azione, Fabiano Amati, ha commentato l’accaduto affermando: “I partiti di Meloni, Salvini e Berlusconi si alleano con Emiliano per fare dispetto a Decaro e presentano una norma – su cui chiedono pure il voto segreto – per far sopravvivere il governo a loro ostile. Il mondo al rovescio”. Per poi rilevare: “Nel segreto del voto la maggior parte del centrosinistra, compresi i Cinquestelle, non fanno mancare il loro voto”. Quindi, il gioco è stato fatto, secondo Amati, anche a costo “del rischio di apparire una casta solo in difesa dello stipendio”. E, forse, per non apparire troppo filo “decariano”, l’esponente di “Azione ha motivato di aver “ostacolato in ogni modo la decisione per non perdere l’onore e l’onorabilità”. Un’ostruzione ovviamente invano, vista la premessa. All’accusa di Amati alle opposizioni di centrodestra di voler, con l’emendamento in questione, voluto prolungare il mantenimento in vita di un governo ad esso ostile nel caso di dimissioni anticipate del suo presidente Emiliano, hanno risposto con una nota i quattro Gruppi consigliari che nell’Aula barese di via Gentile rappresentano detto schieramento, sostenendo che “contro gli intrighi di Palazzo (quello della Regione di Emiliano e del Comune di Bari di Decaro), contro gli accordi elettorali al tavolino di un bar (e non è un eufemismo), contro la spartizione di poltrone (‘tu vai là, io vado qua…’), contro la gestione del potere in modo spregiudicato e pregiudizievole (‘qui comando io e vi mando a casa quando voglio io’) è stato presentato un emendamento a firma del Presidente della VII Commissione, perché si salvaguardasse il principio che le istituzioni vengono prima delle carriere politiche dei singoli individui”. “Un emendamento – hanno sottolineato, inoltre, le forze di opposizione di centrodestra – che vuole ricordare al presidente Emiliano ed al sindaco Decaro che la loro carriera politica viene dopo gli interessi dei baresi e dei pugliesi”. Ora, però, dopo l’approvazione di un emendamento della minoranza di centrodestra così devastante per lo scenario politico pugliese del “dopo-Emiliano”, si tratta di capire se gli interessi carrieristici personali di Emiliano e Decaro siano ancora convergenti, oppure no. Infatti, senza il silenzio-assenso del governatore Emiliano difficilmente l’emendamento in questione avrebbe avuto, sia pur a scrutinio segreto, l’ok dell’Aula grazie al contributo determinante di una larga parte della maggioranza di centrosinistra e “5 Stelle”.  Parte che verosimilmente non vede di buon occhio l’ascesa di Decaro al posto di Emiliano e che non ha perso occasione per dimostrarlo, oltre che farsi un “regalo” collettivo che sicuramente potrebbe sostituire quello, anche per ora mancato, di Tfm. Ossia dell’indennità di fine legislatura.

 

Giuseppe Palella


Pubblicato il 23 Dicembre 2022

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