Cultura e Spettacoli

La gratitudine di un figlio

Tempo fa imperversava uno spot dove una donna seducentissima implorava in un sussurro ambiguo di toglierle tutto meno che il suo orologio. Giocando un po’ con le cose, tutto si può chiedere al ben generoso Giorgio Saponaro meno che rinunciare al bisogno di dire e dirsi. Una necessità, la sua, soddisfatta con un esercizio stakanovista della scrittura che si protrae da oltre mezzo secolo. L’ultimo atto di questa cavalcata letteraria è ‘Parlami di papà, papà’, edito qualche mese fa da Adda. Il nuovo libro di Giorgio Saponaro risolleva un tema antico : Perché gli scrittori prima o poi avvertono la necessità di partecipare il proprio vissuto? Saponaro, che tralascia il dicibile per provare a dire l’indicibile, spiega che “raccontare significa in fondo ricordare, far sì che il passato ridiventi presente”. E anche se “tutto questo porta dolore, per quello che è stato e che ora non è più, meglio rammemorare che dimenticare per sempre”. Eccolo allora mettersi all’opera e dipingere questo tenero affresco di “Don Carlo, mio padre benedetto”, perno intorno a cui si muove una ricchissima galleria di personaggi, famigliari e non, ritratti sempre con animo lieto sotto un velo umido di pianto. Don Carlo è qui ‘fermato’ negli anni suoi ruggenti. Lo vedi, sereno e giusto, dividersi tra doveri famigliari e un’attività indefessa e fertile, lavoro prezioso senza cui il Nostro non avrebbe potuto mai scrivere i suoi cento e passa libri. Davanti agli occhi di un uomo scivolato nella terza età scorrono immagini che a suo tempo, indelebili, si fermarono a caratteri di fuoco nel cuore di un ragazzo. Una Macedonia Oro fumata con eleganza, l’incasso della giornata prudentemente avvolto in un foglio di giornale, un ben meritato scappellotto, la scoperta del sesso e le suggestioni della lettura nella casetta di Torre Pelosa (poi Torre a Mare) sono alcune delle tante schegge che Giorgio Saponaro studia di rimettere assieme. La ricomposizione del tempo perduto, ovviamente, è incompleta. Meglio così. L’effetto è quello dei mosaici che, asportati dalle sedi originali, vengono nuovamente assemblati nelle sale dei musei. I grandi vuoti che qua e là si aprono all’interno del disegno hanno il potere di far percepire ciò che è andato perduto meglio di quanto avrebbe potuto il miracolo di una visione completa all’epoca della posa in opera. ‘Parlami di papà, papà’, allora, fa percepire l’assenza, la non visibilità, piuttosto che il senso del sudario. Questa indiretta latitanza della morte rende particolarmente vivo il dialogo col padre ; e meglio tra le righe che in mezzo alle parole. Perché Giorgio parla due volte col padre : la prima avviene in modo accorato, solare e pubblico ; la seconda si consuma zitto zitto, in inaccessibile confidenza. In tale sussurro da penombra vibra più forte un senso della gratitudine, vero leit-motiv di ‘Parlami di papà, papà’, solo parzialmente esprimibile.

Italo Interesse


Pubblicato il 22 Febbraio 2013

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