Cultura e Spettacoli

Malfattori da strada

Nel territorio di Ginosa il punto in cui la Gravina di Laterza sfocia in una piana alluvionale è noto come ‘Il passo di Giacobbe’. Lì, stando alla tradizione orale, usava appostarsi un fantasioso brigante di strada. Dove il passaggio è più stretto e la vegetazione particolarmente fitta questo Giacobbe inscenava una specie di teatrino appostando tra il fogliame fantocci acconciati in modo da passare per briganti mal nascosti. Quando la vittima di turno si arrestava perplessa (“Sono briganti, quelli…?!”)  Giacobbe sbucava armato dal suo nascondiglio : “Fermo ! Qua la borsa!” Intascato il bottino se la dava a gambe levate, se il passante era a piedi, oppure galoppava via in sella al cavallo del derubato. La buffa e presumibilmente breve ‘carriera’ del nostro brigante ebbe fine quando “due astuti fratelli” lo giocarono convergendo verso il passo da direzioni opposte. Non si sa altro. Un malvivente anomalo, in definitiva, non più che un povero disgraziato. Tutt’altro, per esempio che un Papa Ciro, un sacerdote di Grottaglie, dove era nato nel 1775, che, divenuto brigante per forza di cose, venne fucilato a Francavilla Fontana nel 1818 dopo essersi lasciato alle spalle un scia di sangue lunghissima (prima di morire si riconobbe autore materiale di settanta omicidi). Annicchiarico era uno stimato sacerdote e maestro di canto gregoriano, seppure col vizietto delle donne. E fu una donna il principio delle sue disgrazie. Annicchiarico si era incapricciato di tale Antonia Zaccaria, detta ‘la curciola’, una donna di 26 anni e già vedova e madre di due figli. Ma lo stesso boccone faceva gola anche a un altro sacerdote del posto, Giuseppe Motolese. Fra i due, terzo incomodo, s’inseriva un terzo contendente, Giuseppe Maggiulli, giovane rampollo della più potente famiglia del paese e nipote di Don Pier Felice, arciprete di Grottaglie. Quando il 16 luglio 1803, nel corso di una processione, il Motolese venne mortalmente accoltellato sotto l’arco della Madonna del Lume da uno sconosciuto incappucciato, le accuse piovvero su Don Ciro. Invece l’assassino era il Maggiulli. Tornando comodo a molti (c’erano di mezzo anche ragioni politiche), Don Ciro si ritrovò imputato di omicidio, accusa per la quale il Tribunale di Lecce lo condannò a quindici anni di carcere. Con la successiva evasione nacque la leggenda di Papa Ciro e della Setta dei Decisi da egli fondata e che tanto filo da torcere diede al governo di Napoli. Degno di nota è il fatto che nell’interrogatorio a cui venne sottoposto nel corso del sommario processo precedente la sua fucilazione, Ciro Annicchiarico, il quale – come già detto – non ebbe difficoltà a riconoscersi colpevole di settanta omicidi, abbia negato risolutamente d’aver ucciso Giuseppe Motolese. Evidentemente quell’accusa ingiusta e la condanna che ne conseguì cavarono il peggio dall’animo di un uomo non nato per vivere e morire da brigante. – Nell’immagine, una stampa dell’assedio della masseria Scassevera, al termine del quale Papa Ciro e si suoi uomini si arresero.

 

Italo Interesse

 

 


Pubblicato il 4 Agosto 2020

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