Cultura e Spettacoli

Muoiono i poeti, non la poesia

Come definire questa civiltà? Con lo stesso aggettivo con cui oggi si può appellare la natura : “ferita”. Così Sandro Marano in un suo saggio edito da Solfanelli (Chieti – 2017).’Meditazioni su una civiltà ferita’ non è solo l’ennesimo SOS lanciato da un pianeta e una società che affondano. Nel dare del ‘ferita’ a natura e comunità umana Marano assegna ad entrambe ancora qualche chance. Salvarsi, insomma, è possibile, a condizione di correre urgentemente e drasticamente ai ripari. Qui però l’Autore non s’impelaga in complicate formule di salvezza a carattere politico, sociale ed economico. A parte  richiami qua e là al buon senso, la sua è riflessione amara e ‘panoramica’ sui guasti procurati all’ambiente e all’uomo dalla più rovinosa filosofia, quella sopravvenuta con l’avvento della società industriale e che fa coincidere la felicità col massimo possesso, convinzione figlia di una corsa insensata a produrre (e consumare) più di ieri e meno di domani, anche al prezzo di schiavizzare, plagiare e stravolgere uomini in unità non pensanti. Perché ‘panoramica’? Perché qui si spazia tra filosofia e poesia, tra economia ed arte. Impressionante la quantità dei più alti rappresentanti della cultura d’ogni tempo e latitudine qui chiamati in causa. Nietzsche, Ezra Pound, Ferlinghetti, Camus, Croce e Drieu de la Rochelle sono solo alcuni dei rappresentanti di un popolo di pensatori e creativi che già in tempi non sospetti avevano presagito la catastrofe in arrivo. Come un’ape (a proposito, vanno sparendo…) Marano va di fiore in fiore suggendo contributi anche lontanissimi che assembla con abilità all’interno di un pensiero lucido e scontento, polemico ma non astioso. Il senso d’indifferenza e fatalismo che si percepisce intorno all’Autore – il quale qui un po’ si mette in mostra – fa sì che la figura del Nostro in alcuni momenti somigli a quella di quei tipi curiosi che nello Speaker’s Corner di Hyde Park a Londra salgono su una sedia o una scala e di lassù tengono discorsi, anche interessanti, al cospetto di micro folle. Con la differenza che ‘Meditazioni su una civiltà ferita’ è tutt’altro che un banale predicozzo o uno sfogo da frustrati. Qui di mezzo è la disarmonia del vivere che come un cancro ha esteso le sue metastasi ai più remoti angoli del globo. Tuttavia, per quanto i risultati siano sotto gli occhi di tutti, “le ciance arroganti dei potenti” hanno il potere di stendere come un sudario sui “peccati capitali della società” e di chiudere gli occhi a chiunque, sì che a velocità folle siamo lanciati contro il muro che, sempre più vicino, si leva in fondo al vicolo cieco nel quale ci siamo cacciati. Senza mai perdere il filo del discorso, nonostante ampie digressioni e un muoversi fra punti d’osservazione vicendevolmente distanti ed anche inattesi (Battisti, San Francesco, Gesù…), Marano fa della poesia il motivo ricorrente del suo libro. Stralci da Palazzeschi, D’Annunzio, Cardarelli, Giancane ed altri poeti sono opportunamente inseriti nell’alveo di una considerazione di cui colorano la vastità (e pazienza se ciò avviene al prezzo di mettere a nudo la sostanziale solitudine del poeta nel cantare e denunciare). “Muoiono i poeti, non la poesia”. E’ vero. Meglio d’ogni altro creativo, il poeta suggerisce l’arte di ricongiungere l’uomo alla natura. Ovvero quanto di cui più s’abbisogna per riannodare un filo spezzato. Un libro ben scritto e convincente, conciso ed agile.

 

Italo Interesse

 

 


Pubblicato il 17 Marzo 2017

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