Cultura e Spettacoli

Niente e nessuno fermi le danze!

Duecentocinquantacinque anni fa, ad Andria, nasceva Ettore Carafa, duca di quella città e conte di Ruvo. La sua figura avrebbe lasciato il segno nella breve vita della Repubblica Napoletana. Alla proclamazione di questa, nel 1799, il Carafa aderì all’ideale rivoluzionario. Nominato Colonnello, gli venne affidato il presidio della fortezza di Pescara, posta nell’area di influenza dell’Esercito della Santa Fede, che in quel momento era guidato in quel momento da uno dei ‘capimassa’ di maggior successo, Giuseppe Pronio. A capo di migliaia di uomini, il Pronio, che già aveva ripetutamente sconfitto i francesi in piccoli scontri a fuoco, a fine maggio del 1799 decise che era arrivato il momento di Pescara. Attaccati in massa, Carafa e i suoi pochi uomini dovettero chiudersi nella città. Nel corso dell’assedio il Carafa si adoperò in tutti i modi per tenere alto il morale degli uomini a sé più vicini. Una sera, riferisce Raffaele Finoia nel suo ‘Ettore Carafa, conte di Ruvo. Relazione del suo cameriere’, (ed. B. Maresca – Napoli 1885), aveva organizzato una festa da ballo. Durante il ricevimento “una palla di cannone entrò per un balcone nella sala dove si ballava nel mezzo dei danzatori, che facevano una controdanza inglese, e la palla traversò le due file della controdanza, ruppe il muro opposto e passò nella stanza contigua”. Si dice che, superato l’iniziale smarrimento, il duca-conte ordinasse all’orchestra di ricominciare il motivo dall’inizio… Pescara resistette sino al 1° luglio. Catturato, Ettore Carafa venne tradotto a Napoli, dove il restaurato Borbone si apprestava a scatenare l’annunciata vendetta contro i repubblicani napoletani di spicco. Il nobiluomo pugliese era in cima alla lista. Lo attendeva un processo farsa. Quando ad Andria giunse la notizia della sua cattura, i più anziani ricordarono che il giorno della sua nascita un prezioso marmo che ornava un camino della fastosa dimora di famiglia era andato inspiegabilmente in frantumi; fatto interpretato dalla servitù di casa come segno infausto. Durante il processo, insultato dal presidente del Tribunale, Ettore Carafa che in quel momento era incatenato e avvolto da soldati, rispose così al magistrato: “Se fossimo entrambi liberi, parleresti più cauto; ti fanno audace queste catene”. Quando poi giunse il momento di passare a miglior vita, il che avvenne a Napoli il 4 settembre dello stesso anno in piazza del Mercato, Ettore Carafa diede prova di grande coraggio. I suoi ultimi istanti sono così descritti da Pietro Colletta: “Egli, nobile, dovendo morire di mannaia, volle giacere supino per vedere, a dispregio, scendere dall’alto la macchina che i vili temono”» Le sue ultime parole furono: “Dirai alla tua regina come seppe morire Ettore Carafa”. Parole che, riferite in seguito a Ferdinando IV, furono dal re commentate così : “Il duchino ha fatto il guappo fino all’ultimo”. – Nell’immagine, un olio su tela realizzato nel 1800 da Saverio (Xavier) della Gatta raffigurante la distruzione dell’albero della libertà innalzato a Largo del Palazzo, oggi Piazza Plebiscito; il quadro è conservato in una collezione privata a Friburgo, nel sud-ovest della Germania.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 29 Dicembre 2022

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