Cultura e Spettacoli

Pane e quotidiano con Danilo Dolci (III parte)

Pochi grammi di poesia al giorno per stare a contatto con l’universo poetico che vibra intorno a noi

Nel 1953 Danilo Dolci sposa Vincenzina, vedova di una vittima del banditismo. La donna ha già cinque figli dal precedente marito e metterà al mondo altri cinque figli: Libera, Cielo (in omaggio al poeta duecentesco siciliano Cielo d’Alcamo), Amico, Chiara e Daniela. Intanto il “Borgo di Dio” diventa una comunità aggregante di famiglie di poveri pescatori e contadini che, grazie a Dolci, intraprendono un cammino di emancipazione culturale e sociale. Nel gennaio del ‘56 si passa dalle parole ai fatti, così a San Cataldo  un migliaio di persone iniziano uno sciopero collettivo della fame per protestare contro la pesca di frodo, grave piaga che affama i pescatori; ma la protesta viene liquidata dalle autorità come illegale. Un mese dopo, a Partinico, ha luogo quello che è rimasto alla storia come  ‘lo sciopero alla rovescia’.  Secondo Dolci, se un operaio per protestare si astiene dal lavoro, un disoccupato può  scioperare lavorando. Il suo discorso fa breccia, così centinaia di disoccupati si organizzano per lavorare alla sistemazione di una strada comunale dissestata. Ma i lavori vengono fermati dalla polizia e Dolci, con alcuni suoi collaboratori, viene arrestato. L’episodio suscita profonda indignazione nel Paese e provoca numerose interrogazioni parlamentari.  Si svolge un processo che ha enorme risalto sulla stampa nazionale. Dolci viene scagionato: a difenderlo c’è Piero Calamandrei. In questo periodo molti giovani volontari decidono di sostenere l’attività di Dolci a Partinico e a Palermo, dove nel frattempo ha avviato diverse iniziative nei quartieri più poveri (a Cortile Scalilla e a cortile Cascino). Fra di loro anche Goffredo Fofi.

 

Quasi ho pudore a scrivere poesia
come fosse un lusso proibito
ormai, alla mia vita.
Ma ancora in me
un ragazzino canta
seppure esperto di fatiche e lotte,
meravigliato dei capelli bianchi
d’essere ancora vivo,
necessitato d’essenzializzarsi:
e al varco d’un malanno scrive versi
come una volta
quando il silenzio diventava colmo
futuro, chiarore che bruciava
la fatica del fare successivo.

Nel mio bisogno di poesia, gli uomini,
la terra, l’acqua, sono diventati
le mie parole.
Non importano i versi
ma in quanto non riesco a illimpidirmi
e allimpidire, prima di dissolvermi,
invece di volare come un canto

Rubrica a cura di Maria Pia Latorre ed Ezia Di Monte


Pubblicato il 29 Dicembre 2022

Articoli Correlati

Pulsante per tornare all'inizio