Cronaca

Un’occasione sprecata per condannare i genocidi di tutti

In occasione del “Giorno della memoria” che si commemora ogni 27 gennaio, ieri presso il campo rom di Japigia, l’assessore alle Culture Silvio Maselli è intervenuto all’incontro “Porrajmos, ricordiamoci di ricordare”, organizzato da ARCI Bari nel giorno dedicato alla memoria delle vittime dell’Olocausto per ricordare il massacro delle popolazioni Rom e Sinti nei lager nazisti.
Porrajmos è infatti il termine che in lingua romanì indica lo sterminio di centinaia di migliaia di Rom e Sinti per mano nazista durante la seconda guerra mondiale.
L’incontro, moderato da Dario Abrescia, giornalista e operatore socioculturale  è stato introdotto da una prolusione del prof. Pasquale Martino, ed è proseguito prima con gli interventi di Daniel Tomescu, referente del campo, dell’assessore Maselli e di Luca Basso, presidente di ARCI Bari, e poi con uno spazio dedicato alle musiche tradizionali con Fabio Losito e Ion Zamfir. Un’occasione però, questa, poco utilizzata per promuovere una memoria condivisa, da troppi anni inesistente nelle coscienze delle generazioni che si sono susseguite nel secondo dopoguerra. Questa etnia, come tante altre deportate e internate nei campi di lavoro, ha subito persecuzioni anche in Russia a cavallo tra il XIX e il XX secolo. In un lavoro del 1931 intitolato Tsygane v?era i segodnia (I Rom ieri e oggi), Aleksandr V[ja?eslavovi?] Germano, il principale scrittore e intellettuale Rom dell’Unione Sovietica, riassunse la storia dei Rom europei come una cronaca insanguinata di persecuzione e di alienazione. I Rom furono messi al rogo, impiccati, massacrati ed esiliati. Il fatto che gli abitanti dei villaggi e i funzionari li relegassero a vivere temporaneamente nelle aree periferiche rafforzò il loro nomadismo come modo di vita. Molti Rom furono costretti alla schiavitù o al servaggio, e questo determinò la loro arretratezza culturale e la loro esclusione politica.

Nella Russia zarista i Rom vennero sottoposti a misure poliziesche e a leggi discriminatorie che proibivano ai Rom di entrare nella capitale San Pietroburgo e nei suoi dintorni. Alcuni Rom russi poterono godere di una stabilità relativa perché facevano parte delle corali Rom, che erano popolari tra la nobiltà finché tale classe non fu annientata dalla rivoluzione russa. Dal 28 giugno al 9 luglio 1933 la polizia segreta radunò 1008 famiglie Rom a Mosca 5470 persone in totale e le deportò nei ‘Gulag’ ovvero dei campi di lavoro della Siberia occidentale. Ma nei Gulag sovietici non furono internati soltanto Rom e Sinti ma secondo gli ultimi dati resi noti recentemente dai documenti dal KGB (Servizi Segreti russi) risulterebbe che 29 milioni di persone vi siano state deportate e delle quali più di 13 milioni vi siano morte. A queste ci sono da sommare gli 80.000 prigionieri politici fucilati tra il 1918 e il 1922, i 5 milioni di morti (tra cui molti ukraini) a causa della carestia indotta alla popolazione rurale negli anni ’20 e ‘30, la deportazione ed eliminazione dei Cosacchi del Don, la deportazione di 2 milioni di Kulak tra il 1930 e il 1932, la deportazione e lo sterminio dei tedeschi del Volga, dei tatari della Crimea e dei ceceni rispettivamente nel 1941, 1943 e 1944. Di tutto questo orrore non si è saputo nulla o si sapeva assai poco; le notizie che arrivavano all’occidente e all’Italia venivano distorte, spesso falsate come le stragi bolsceviche attribuite agli avversari nazional-socialisti grazie alla propaganda del ‘Cominform’ (Communist Information Bureau) che appoggiava la politica di Stalin. L’assoluta chiusura degli archivi nei paesi comunisti, il totale controllo della stampa, dei mass-media e di tutte le vie di comunicazione con l’estero, la propaganda sui presunti “successi” del regime stalinista, tutto questo blocco dell’informazione mirava in primo luogo a impedire che si facesse chiarezza sulla repressione operata sistematicamente in Unione Sovietica. Ma il terrore staliniano, durante gli anni Trenta, colpì duramente anche le comunità straniere che vivevano in Unione Sovietica e, fra queste, quella italiana che conobbe l’esperienza della persecuzione e della deportazione nei Gulag. Sospettati, nella maggior parte dei casi, di attività antisovietica e di spionaggio, alcune centinaia di italiani, per lo più emigrati politici e giunti in URSS negli anni Venti, morirono fucilati dopo processi sommari o subirono lunghe sofferenze nei campi di lavoro forzato. A questa vicenda di dolore e di morte si aggiunse, negli anni della seconda guerra mondiale, la dura esperienza della deportazione e del lavoro coatto nelle colonie per gli italiani che vivevano a Kerc’, in Crimea, questi ultimi discendenti di famiglie pugliesi trasferitesi in Russia sin dal XIX secolo.

Ma quello che nel 2016 è davvero pericoloso, è che gran parte delle associazioni che organizzano gli eventi culturali legati “alla Memoria” , sono spesso faziose e ligie a quegli schemi che non agevolano, a distanza di tanti anni, la verità storica sui fatti realmente accaduti.  Preferiscono ricorrere ancora allo stucchevole discorso di chi è stato più cattivo, invece di supportare una memoria condivisa sulle tragedie compiute non solo dalla parte soccombente nel secondo conflitto mondiale definita appunto “male assoluto” ma soprattutto dalla parte dei vincitori che, di crimini di guerra coperti dalla storiografia ufficiale, se ne intendono e non poco.

 

Maria Giovanna Depalma

 


Pubblicato il 28 Gennaio 2016

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