Cultura e Spettacoli

I gesti presidenziali e la condizione carceraria

Quando mancano (per fortuna!) spiccioli di giorni alla fine del suo settennale mandato presidenziale, mercoledì, 6 febbraio 2013, napolitano ha voluto esibirsi in un gesto plateale: entrare nel carcere di san vittore in milano ”per condividere – egli ha ai detenuti blaterato –  i vostri problemi e le umane sofferenze di cui lo Stato deve farsi carico con quella determinazione che finora non ha mostrato”. Così, il presidente, anche, dei detenuti ché un presidente della repubblica è il presidente di tutti: dei buoni, dei cattivi cittadini, degli onesti, dei disonesti, degli incorruttibili (razza in estinzione!), dei corrotti, di coloro che pagano le tasse fino all’ultimo centesimo, degli evasori. Abbiamo elencato quale, quanta umanità un presidente della repubblica deve governare, comandare, proteggere, presiedere; di quale, quanta umanità un presidente della repubblica è responsabile; a quali, quanti “Uffici” (dal Latino: “Officium”, Dovere) un presidente della repubblica deve attendere, ché presidente deriva dal Latino: “praesum” che, semanticamente, raccoglie il vasto, diversificato Agire di un Cittadino che viene, in modi, forme diversi, Innalzato al di sopra di tutti gli altri. Per cui egli incarna la suprema istituzione dello stato in consonanza con non pochi altri che incarnano altre istituzioni dello stato.  Behhhhhh, nessuno ha avuto il coraggio di suggerire a napolitano di non (dis)incarnarsi dalla istituzione, che, per 7 anni, ha incarnato, ha rappresentato, ché, se lo stato non ha mostrato determinazione nel (dis)umanizzare (il sesto raggio famigerato del carcere di san vittore, quello dove per 21 ore al giorno stanno rinchiusi in celle di tre metri per tre metri 8 ”animalia”, esseri viventi simili a napolitano, sì che se uno sta in piedi gli altri devono stare in branda, è opera degli uomini, come i crimini efferati di coloro che ivi languono sono, pure, opera degli uomini.”Igitur necesse est efferre mundum ex humanitate”) i luoghi di pena e di detenzione delle pecore smarrite, la colpa è, è stata, soprattutto, sua ? Eppure, un alto burocrate del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria s’è sperticato, perfino, in una lacrimuccia, affermando: ”E’ la prima volta di un presidente tra queste mura, ed è un evento importantissimo”. Per chi ? A favore di chi? ? “Cui prodest” ? Prima di commuoversi e far commuovere i cortigiani, napolitano in molte occasioni, in sette anni, non avrebbe dovuto limitarsi a produrre richiami, appelli; gli onesti cittadini italiani, quelli che pagano le tasse fino all’ultimo centesimo, non si fanno sottrarre 300 milioni all’anno per tenere un signore, inquilino, come un re, in una fastosa reggia, circondato, custodito da lacchè in livrea, ché egli si circoscriva nello sforzarsi di alzare la voce nei confronti di coloro che hanno il dovere di ascoltarlo e non lo ascoltano per la risoluzione degli annosi, ognora, inevasi, irrisolti numerosi, gravissimi problemi della società italiettina. Non sono nell’italietta solo le carceri fatiscenti, progettati secoli fa per contenere un più esiguo novero di disgraziati. Ché non parliamo degli edifici pubblici, delle scuole, delle quali pochissime sono a norma, soprattutto, antisismica, in un territorio, eminentemente, sismico; degli ospedali, del patrimonio artistico, oggetto di universale invidia, la cui conservazione non è prioritaria nei bilanci delinquenziali dei governi italiettini; dei siti archeologici, come Pompei, che, ad ogni pisciata delle celesti nubi, si sbriciolano, come scheletri dopo secoli, imprudentemente, posti all’aria aperta; del dissesto idrogeologico per cui, ad ogni avvisaglia di intense perturbazioni atmosferiche, si paventa che il vorticoso scorrere delle acque affondi gli italiettini nei mari che lo stivale circondano? Dalla caduta del predappiano e dalla cacciata dei savoia, gli italiettini hanno, lautamente, cibato, per sette anni,  personaggi che dal colle più alto di roma hanno inviato richiami, appelli a imprecisati destinatari (signor napolitano, chi ha richiamato, a chi s’è lei appellato, inascoltato, per dirimere impicci di ponderoso momento ? Ché non fa nomi e cognomi delle istituzioni e delle persone fisiche che hanno dormito, che si sono messe di traverso, che hanno fatto spallucce, disinteressandosi delle esigenze, dei desiderata, dei sogni di coloro che avevano il dovere di servire ?), sicuri, rassegnati che essi, come la gran parte dei massaggi in bottiglia, non sarebbero arrivati a destinazione e, quindi, da alcuno, giammai, percepiti. NOI, però, abbiamo la fondata certezza che i messaggi, da  napolitano ricopiati con le sue mani, dopo che i suoi funzionari glieli hanno assemblati, non siano arrivati, non arrivino, soprattutto, al suo cuore e alla sua mente, non, rigorosamente, persuasi di essi, ché non può, non deve essere considerato alla stregua di una “mazza di scopa” chi dall’art 87 della Costituzione è proclamato, designato “il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale”. Dalle “Prediche Inutili” di Luigi Einaudi alle superficiali, noiosissime, scontate ”mammazze” (traduzione in dialetto bitontino dei sermoni moraleggianti) di napolitano, tanti “rumors” cartacei, catodici, elettronici, ma lo sconquasso in tutti i settori delle pubbliche relazioni italiettine è, ormai, immedicabile. Inoltre, l’art. 87 della Costituzione, tra gli altri importanti poteri, prerogative, facoltà Decreta che  il presidente della repubblica ”ha il comando delle Forse armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle camere. Presiede il Consiglio superiore della magistratura. Può concedere la grazia, commutare le pene”.”En passant”: l’italietta è tutto un crollare, e il consiglio supremo di difesa, di cui napolitano è presidente, approva l’acquisto di 90 “jet f 35”, l’aereo più costoso di sempre, di cui nulla si sa, a parte il fatto che costa un sacco di miliardi e, pare, sia molto vulnerabile, sì che un fulmine potrebbe, senza fallo, annientarlo, immantinente. Perché, nel caso di codesto scandaloso sperpero di risorse pubbliche, napolitano non ha elevato la sua, pur inutile, voce e s’è, invece, messo sulla medesima irrazionale lunghezza d’onda della casta dei militari ? L’italietta, secondo la Costituzione, rifiuta la guerra per risolvere i conflitti internazionali e, comunque  (palese contraddizione dei Padri Costituenti ?), la nostra “Magna Charta”  assegna al capo dello stato l’onere di dichiarare ”lo stato di guerra”  dalle camere deliberato. In tanti scenari di guerra, specie in iraq e in afghanistan, abbiamo inviato consistenti contingenti militari, bruciando giovani vite umane e innumerabili risorse finanziarie, per osare di pretendere, nel caso di un veloce e positivo perseguimento degli obbiettivi ufficiali, dai governi della coalizione “isaf” prefissati (la caduta di saddam hussein e la cacciata dei talebani, esportazione in quei paesi dei valori democratici), di raccogliere qualche briciola caduta dal lauto  bottino (il vero obiettivo della nostra e di altri scampagnata armata tra le due sponde del tigri e l’eufrate e nel paese dei Buddha di Bamiyan bombardati) che gli “states” avessero razziato, razziassero in quei paesi, ricchi di petrolio e di altre materie prime. Ebbene, in quale riunione della camere dei deputati e dei senatori italiettini, si è, mai, deliberata la guerra ai despoti che governavano quei paesi ? Quando napolitano con atti formali pubblici, con proclami ha informato il popolo suo che la sua nazione era in  guerra ? I media hanno surrogato chi aveva il dovere di comunicare ai condòmini italiettini che si stava compiendo un “vulnus”, quasi, alla Costituzione, e, poiché napolitano era ed  è favorevole alla presenza dell’italietta accanto agli ”states”, quando essi  “pro pace (?) parabant, parant bellum, ha saputo egli alzare la voce, farsi sentire, “vestirsi d’autorità”, zittire le rare flebili voci che osavano contraddire la sua militare ansia missionaria di contribuire a ripulire con detersivi democratici ”divites glebas” ove la dittatura fioriva. Quante lacrime ha versato napolitano, in sette anni, al ritorno a casa di quei nostri giovani stecchiti ove, in verità, si faceva la guerra, non dove, illusoriamente, a dir poco, si portava la pace! A chi avrebbero dovuto dare la colpa le madri, mogli, figli, sorelle, fratelli, fidanzate per la morte di un figlio, di un marito, di un fratello, di un padre, di un fidanzato ? Certamente, latinamente, a tutti coloro, compreso napolitano, mallevadori della necessaria bontà della guerra, che avevano convinto povere menti ingenue (a dire il vero, facili da convincere, anche per il congruo soldo che avrebbero guadagnato, rischiando la vita) che “dulce et decorum est pro patria mori”. E come si commuove in san vittore il napolitano, sperando che il grido di dolore dei detenuti, in “umano” sovraffollamento in quel lager, possa essere raccolto dal “suo successore e da tutte le istituzioni rappresentative”. Della serie: io napolitano, pur da decenni deputato al parlamento italiettino ed europeo; pur presidente della camera dei deputati; pur, ministro dell’interno; pur, per sette anni, presidente della repubblica italiana, non so se c’ero e se c’ero non vidi e non sentii e, quando alla fine fui costretto ad esserci, a vedere, a sentire, non ebbi il coraggio di dire che avrei dovuto dimettermi ché responsabile in solido con altri politicanti dello sfascio dell’Italia, in quanto di Essa sono stato la massima, sebbene, giammai, responsabile, istituzione. Anch’io rappresento lo stato, sono lo stato che costringe  ciascun detenuto del sesto braccio di san vittore  a”cacare” davanti ai suoi compagni di sventura, come se stia tenendo, pubblicamente, una personale ”lectio magistralis” sull’uso meno traumatico degli sfintèri, quando espellono gli stronzi, d’inverno, induriti  per il freddo, per l’umidità delle celle con le finestrine munite di grate di ferro, affatto, prive, “tamen”, dell’effetto placebo o del palliativo ristoro dei vetri.

Pietro Aretino, già Detto Avena Gaetano

pietroaretino68@virgilio.it            


Pubblicato il 9 Febbraio 2013

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