Cultura e Spettacoli

Marcel, il suono di un monumento

‘Viaggio al termine della notte’, una delle cose più note di Louis-Ferdinand Céline, ha ben 86 anni. A suo tempo questo romanzo cupo e nichilistico, intriso di misantropia e cinismo, questa cattedrale del pessimismo sollevò l’indignazione di benpensanti e micro borghesi. Oggi l’uomo della strada non ha ragione di respingerlo, per cui lo accoglie, per meglio dire, lo subisce. Non potrebbe fare altrimenti. Céline fu profeta dell’apocalisse sociale. E’ allora giusto, volendo curare una riproposizione scenica di ‘Viaggio al termine della notte’, avvolgerlo dentro una luce avara e musiche che esprimano il declino della speranza. I due elementi sono stati rispettati nell’allestimento di sabato scorso al Nuovo Palazzo, dove per Time Zones erano di scenaElio Germano, Teho Teardo e una sezione d’archi tutta al femminile. Rigido ma efficace il light-design : coni di luce ad effetto incrociato. Ancora migliore il lavoro di Teardo che compone una partitura opportunamente amara. Su questa base Elio Germano versa una voce morbida e spenta, nella quale vibra un’indignazione incredula, perciò sconsolata e inerme. Una messinscena asciutta e dura, che ha incontrato il pieno favore di una platea gremita. –  Prossimo appuntamento Time Zones : oggi e domani all’Auditorium Vallisa con la seconda e terza parte di ‘Proust Project’, di e con Paolo Panaro, accompagnato al piano da Gianni Lenoci. Quale scommessa questo ridurre la Recherche e adattarla al teatro di narrazione. ‘Proust Project’ funziona non soltanto perché un attore importante interpreta un Maestro. Paolo Panaro è anche un raffinato studioso. A lui va ascritto il merito di una capacità di selezione che ha dell’esemplare. Un frettoloso lavoro d’estrapolazione e assemblaggio non basterebbe a cavare il cuore di quest’opera monumentale e porgerlo palpitante alla platea. Se in generale ciò è difficile già con La Nausea, Moby Dick o I promessi sposi, con la Recherche diventa una scalata dell’Everest. Perché qui leggere tra le righe non basta, si tratta di immergersi nella lettura sino a restarne impregnati. E per sempre. Il lavoro di Proust è di quelli che possono segnarti (ma pochi, anzi pochissimi possono dirsi toccati da tanto privilegio), nel senso che ‘dopo’ niente è più lo stesso. Non sono le cose a cambiare, è la percezione delle stesse ad assumere un’altra – e superiore – fisionomia. Paolo Panaro ci ha abituati alle imprese. ‘Proust Project’ è al di là delle imprese. Con Panaro, Proust diventa ‘materico’, emotivamente tangibile (proprio lui, Marcel, che non era il tipo da concedersi). Lo stesso Marcel, chiamato per negromanzia a raccontare la proprio Ricerca, avrebbe deluso. E questo perché – come lo stesso Proust intuisce – la percezione che abbiamo della Realtà consiste non più che nell’idea che ne abbiamo. Di qui l’illusione di infinite realtà parallele e coesistenti. Nell’imprendibilità si nasconde il Vero (ma questo era già stato afferrato da Buddha secoli prima). Il piccolo/grande miracolo di Panaro è aver immerso il proprio lavoro in questa convinzione prima di offrirlo al pubblico (e’il caso di ricordare il caso di una nonna e di una madeleine da intingere in un tisana e, quasi una comunione, porgerla a un nipotino promettente?…)

 

Italo Interesse


Pubblicato il 24 Ottobre 2018

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