Cultura e Spettacoli

Migrare, niente più spago per le valigie

Emigrare, oggi, non è più la stessa cosa di ieri. Fino agli anni sessanta, quando dal nostro Mezzogiorno si levò l’ultima ondata di migranti, la fuga conservava un suo significato geografico esistendo ancora un Sud da fuggire e un Nord da raggiungere. Nell’appiattita società del terzo millennio questa ‘cardinalita’ ha perso senso. I giovani, i talenti, i volenterosi s’incamminano a sud-est, a nordovest, ovunque esista una possibilità di lavoro che non sia un tallone premuto sul volto. Ma con una prospettiva peggiore di quella offerta ai loro nonni. Se destino di quest’ultimi era sentirsi stranieri all’estero per ritrovarsi tali al rientro in Patria, destino dei loro discendenti è percepirsi estranei alla propria terra già all’atto della partenza. ‘Col tramonto su una spalla’, non prova a raccontare quest’ultimo dramma, bensì il primo. Come tale, scava con devozione archeologica nella storia del dolore, della speranza, del rimpianto e della delusione di una generazione sepolta e irripetibile. Lo fa rievocando fra qualche stereotipo un Mezzogiorno pezzente ma a suo modo mitico. Molta parte hanno in questo intenso racconto i polistrumentisti fratelli Mancuso i quali, oltre a portare la personale esperienza di manovali in diverse imprese metalmeccaniche del londinese dal 1974 e il 1981, costellano lo spettacolo di suoni arcaici attinti dalla tradizione della loro terra, la Sicilia. Il resto lo fa la simpatia, la passione, l’ilarità del solito, bravo Gaetano Colella, chiamato a ripercorre sapide pagine di meridionalisti, intellettuali, scrittori e poeti ‘orientati a Mezzogiorno’ : Gaetano Salvemini, Elio Vittorini, Carlo Levi, Vittorio Bodini… Immerse in una luce calda e circoscritta che dà di focherello nel buio e di nostalgia lacerante, parole e musica si avvicendano, si annodano, non si sovrappongono. Spettacolo ‘compatto’ e ben assemblato, ‘Col tramonto su una spalla’ onora un Sud defunto, quello delle valigie di cartone tenute assieme con lo spago, e fra le righe ammicca al dolore dei nuovi migranti del Sud (del mondo), quelli ad esempio che – senza alcuna valigia – quotidianamente il Mediterraneo sbarca sulle nostre coste. Un solo appunto : benché algido e perciò in antitesi col colore caldo e struggente dello spettacolo, avrebbe fatto comodo un display, unico modo per cogliere parole e significato dei testi cantati. – Prossimo appuntamento al Kismet per la stagione dei Teatri di Bari, venerdì 3 marzo con ‘A casa’ (Teatro dell’Altopiano) di Donatella Caprioglio con Angelica Schiavone, Renza De Cesare, Antonella Colucci. Regia di Carlo Formigoni. Dalle note di regia : “Uno spettacolo basato sulla riflessione relativa all’abuso interpretativo delle idee e delle ideologie e soprattutto un accorato appello al senso della responsabilità collettiva”.

Italo Interesse


Pubblicato il 1 Marzo 2017

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