Cronaca

Quel tritolo sul fondo che fa gola…

Qualche giorno fa una mina della seconda guerra mondiale, localizzata a venti metri di profondità a pochissima distanza dal porto di Monopoli, è stata fatta brillare. Gli artificieri hanno potuto appurare che in precedenza l’ordigno era stato oggetto di ripetute incursioni ad opera di subacquei che, violato l’involucro di metallo, ne avevano asportato parte del carico di tritolo, pari a trecento kg. Più domande possono sorgere spontanee. La prima ha per oggetto quel tipo di esplosivo : bagnato, a che serve? Ebbene, a differenza di quella nera, il tritolo non è una polvere, ha invece consistenza solida cristallina e non è solubile in acqua. E non è pericoloso manovrarlo? tra l’altro quei subacquei, a meno che non abbiamo trovato come smontare l’ordigno, dovranno aver forzato l’involucro con una fiamma ossidrica ad acqua…. Niente paura, il tritolo è pressoché insensibile a urti e sollecitazioni, né esplode quando esposto ad una fiamma libera. Esplode solo se innescato da un detonatore (e innescare per contatto diretto un sensore di detonazione vuol dire esercitare sullo stesso una pressione di centinaia di chilogrammi-peso, come quella espressa dalla carena di una nave, non quella, modestissima, esercitata dalla mano o dal piede di un uomo). Resta poi da spiegare l’utilità di sottoporsi alla fatica di una così lunga immersione. L’utilità sta nel fatto che il tritolo, di tutti gli esplosivi il più potente, tant’è che l’energia liberata dalla sua esplosione è diventata per tradizione il termine di paragone della potenza degli ordigni nucleari, non è in commercio. Solo le Forze armate possono disporne. E se la mafia ha bisogno di un mezzo irresistibile per avere ragione di Giudici ‘scomodi’ non resta che dar la caccia ai residuati bellici, che da questo punto di vista costituiscono una miniera. E infine : perché quella mina era sul fondo invece che in superficie? Queste armi, posizionate mai singolarmente ma a centinaia sino a delineare un ‘campo minato, erano assicurate al fondo da una catena la cui lunghezza era calcolata in modo tale perché l’ordigno, a seconda delle sue caratteristiche, galleggiasse sul pelo dell’acqua o rimanesse sospeso, e invisibile, a due, tre metri di profondità (e quando le catene si rompevano per effetto della forza del mare, quelle armi se ne andavano a spasso, rappresentando una minaccia anche per chi le aveva posate ; di qui l’espressione ‘mina vagante’). L’unica spiegazione è che nel tempo, venute meno le guarnizioni, l’acqua abbia preso il posto dell’aria presente all’interno e necessaria per il galleggiamento appesantendo la mina e trascinandola (lentamente, si capisce) a fondo.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 27 Novembre 2013

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