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Cassa Prestanza, sessanta giorni per definire la natura giuridica

<<In definitiva, ad avviso del Collegio non è stato adempiuto l’obbligo discendente dalla deliberazione consiliare n. 108/2018. Conseguentemente, occorre dichiarare l’illegittimità del silenzio serbato dell’Amministrazione comunale e ordinare alla medesima di concludere il procedimento oggetto del contendere entro il termine di giorni sessanta dalla data di notificazione e/o comunicazione in via amministrativa della presente sentenza. Resta riservata, in mancanza, la nomina del commissario ad acta. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, lo accoglie nei sensi e nei limiti espressi in motivazione e, per l’effetto, dichiara l’obbligo del Comune di Bari di adottare un provvedimento espresso a definizione del procedimento oggetto del contendere entro il termine di giorni sessanta dalla data di notificazione e/o comunicazione in via amministrativa della presente sentenza. Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 9 giugno 2021>>. Questo il lungo e puntiglioso dispositivo della sentenza n. 1071/2021 con cui il Tribunale Amministrativo della Puglia ha rimandato la palla in campo comunale per dare finalmente contorni chiari alla Cassa Prestanza. Se cioè la natura dell’organismo previdenziale che lo stesso Comune ha gestito per quasi un secolo sia dotato di potestà pubblica o meno. Si tratta, insomma, di dissipare entro i prossimi sessanta giorni entro i quali il Consiglio Comunale dovrà decidere -altrimenti verrà investito un Commissario prefettizio – i dubbi sulla conformità giuridica dell’organismo dei dipendenti comunali che dal 1924 svolgeva un utile e spesso anche apprezzato servizio di previdenza complementare. Un servizio finito nelle spire delle procedure concorsuali a sostegno di coloro che, iscrivendosi, sottoponevano volontariamente il proprio stipendio mensile a una trattenuta aggiuntiva del 3%. In cambio -giova ripeterlo – un’indennità suppletiva, da percepire al termine dell’attività lavorativa, oltre che alla possibilità di accedere, durante l’arco lavorativo alle dipendenze dell’Amministrazione Civica, a prestiti a tasso di favore da restituire in rate mensili scomputabili sempre dallo stipendio comunale. Il guaio è che questa Cassa da qualche anno, ormai, non è più in grado di adempiere alla funzione per cui fu istituita, avendo già da tempo flussi di liquidità insufficienti a far fronte agli obblighi statutari maturati a favore degli iscritti che, con il pensionamento, cessavano il proprio rapporto lavorativo col Comune. In altri termini, il discorso sarebbe davvero lungo e complicato, ma la gestione della “Cassa Prestanza” già dal 2008/2009 (quando dalle pagine di questo giornale in perfetta solitudine cominciò un vero e proprio bombardamento all’amministrazione Emiliano, assessora la Rinella, per denunciare i primi dubbi e sospetti) si presentava deficitaria. Tanto che più tardi, dopo anni di indifferenza e sottovalutazione del problema -ad esempio – dei troppi pensionamenti da liquidare, a fronte di iscritti oramai scemati, ma molto più tardi si riuscirà a rimborsare il maturato ai pensionandi solo grazie al sostanzioso contributo annuale di circa 500mila Euro che di volta in volta il Comune elargiva dal proprio Bilancio all’istituto previdenziale complementare interno. Elargizione – com’è  noto – interrotta improvvisamente nel 2016, a seguito d’un intervento chiarificatore della Corte dei Conti, che ha sostanzialmente censurato tale sostegno economico, in quanto la “Cassa” è a tutti gli effetti un “soggetto” giuridico di natura privatistica, benché sottoposto a controllo pubblico. Ossia della stessa Amministrazione comunale, essendo per statuto il Sindaco pro-tempore, o un suo delegato, a rappresentarla legalmente. E, quindi, a gestirla a tutti gli effetti. Ma, anche se la  mancata possibilità di continuare a erogare il sostanzioso sostegno è stata la causa scatenante delle secche in cui si è arenato lo storico organismo dei dipendenti comunali, ora toccherà al Consiglio confermare quella natura giuridica sgorgata dagli atti degli esperti contabili di via Matteotti. O rivedere tutto, in un dibattito in Aula cghe fin d’ora promette scintille. I dipendenti del Comune iscritti alla “Cassa” che ora rischiano di vedere -se tutto andrà bene – solo una minima parte delle rispettive aspettative previdenziali, continuano a protestare quotidianamente a turno proprio dinanzi alla sede della Corte dei Conti, del Tribunale Civile e Penale e della sede centrale del Comune, continuando a porre domande su domande, per cercare di dare quelle risposte sulla loro Cassa integrativa che (…abbastanza pilatescamente) sono state rispedite dai giudici amministrativi al mittente. Però, scusate: “Come mai l’attuale primo cittadino, anziché nominare una Commissione d’indagine che approfondisse le cause del dissesto, s’è limitato a cantare il ‘de profundis’?” “E se la sede legale della cassa Prestanza è stata prima in Prefettura e poi sempre negli uffici comunali, può mai essere di natura privata?” “E i bilanci, approvati talvolta tutti assieme in una sola seduta, in maniera assolutamente frettolosa, non erano forse approvati e vidimati dall’organo pubblico per eccellenza?, e cioè dal Consiglio Comunale?” Domande, queste, che arrivano da una base di cittadini/dipendenti che si sentono derubati e che quasi sicuramente saranno dibattute in Aula Consigliare entro i prossimi due mesi. Ma servirà, infine, a fare veramente chiarezza sulla “vicenda” Cassa Prestanza e Sovvenzioni del Comune di Bari?

Francesco De Martino


Pubblicato il 29 Giugno 2021

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