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La rabbia dei dipendenti del Centro Identificazione, senza stipendio da tre mesi

Potrebbe essere finalmente giunta alla stretta decisiva, la vertenza a favore di una trentina di dipendenti del Consorzio “Connecting People”, senza stipendio da mesi e precisamente da dicembre dell’anno scorso, in servizio presso il Centro di accoglienza di Bari-Palese. Stamane, difatti, si riaprirà il tavolo della Prefettura con sindacati e Funzione Pubblica-Cgil in prima linea da tempo in difesa dei lavoratori del campo di Bari-Pelse, tanto che i funzionari al servizio del Governo a questo punto desiderano fortemente fare il punto sugli impegni per la liquidazione degli stipendi ancora in sospeso. Impegni assunti dagli stessi responsabili del consorzio catanese, attanagliati da questioni di natura economica e fiscale visto che il Tribunale ha ancora in corso la procedura di amministrazione controllata, anticamera del fallimento. Ma nessuno vuole forzare la situazione, a piazza Libertà, meno che mai il segretario Fp(Cgil Giuseppe Monno, uno che ha lavorato diverso tempo attorno alla vertenza del Cie di Bari-Palese, rimettendo ordine soprattutto dal punto di vista amministrativo nella gestione del centro affidato al consorzio siculo dopo i problemi sorti con la società precedente, finita nel mirino di magistratura penale e contabile. Ma i problemi in piedi nel Centro di Identificazione ed Espulsione di Palese, come emerge da alcuni resoconti sono anche altri, relativi – come ha già informato questo giornale – alle misure di sorveglianza. “Veniamo trattati come terroristi. Il luogo è completamente circondato dall’esercito che ci osserva e ci tiene sotto controllo anche dalle torri e dalle pareti, senza mettere in conto che siamo rinchiusi da delle enormi porte di ferro molto alte e controllati a distanza da delle telecamere di videosorveglianza. Siamo circondati da tre muri alti circa 15 metri l’uno, di ferro e di cemento armato. All’interno di questo centro-prigione non abbiamo nessun diritto. Questo non è un centro ma un vero e proprio carcere dove tengono rinchiuse persone senza nessuna motivazione, l’unico loro reato è stato quello di aver superato la frontiera nascosti per giusta causa”. L’autore di questa lettera-denuncia conosce bene anche la difficoltà di accedere alle informazioni sulla propria detenzione. “Se fai richiesta scritta per parlare con un assistente sociale devi attendere come minimo almeno quattro o cinque giorni prima che abbia la possibilità di parlarci. All’incontro con lui le domande sono sempre le stesse e sono del tipo perché siamo qua, quando usciamo e a che punto è arrivata la nostra pratica, e ovviamente le risposte sono sempre le stesse e infatti la solita scusa loro è che la pratica è dal giudice e che sarà lui a decidere. E anche il giudice non si sa mai quando poterlo incontrare a costo di attendere giorni o addirittura mesi, e quando finalmente lo incontri lui ti consegna una carta in cui c’è una proroga della detenzione di trenta giorni e ti chiede di firmare. Nel caso tu rifiutassi o chiedessi il motivo della tua firma, ti convince dicendo che è solo per finire la pratica e fare i propri accertamenti”. Tutti problemi che i sindacalisti baresi, fianco a fianco con operatori e lavoratori all’interno del Centro barese, conoscono a memoria e che stamane saranno ripresi a partire dalle dieci in punto all’interno del Palazzo del Governo…

 

Francesco De Martino


Pubblicato il 25 Marzo 2014

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